In memoria di Francesca Patanè

Rubrica: Segnalazioni

Riporto in questa pagina le parole di Quirino Paris  – già pubblicate sul web – e quelle da Gabriele Pomar in memoria di Francesca Patanè.

m. p.
(dicembre 2009/gennaio 2010)


Elogio di Francesca Patanè

Il giornale Ateneo Palermitano non turberà più il sonno di coloro che gestiscono la malauniversità, la malasanità, il malgoverno, e la mafia accademica. Il suo direttore responsabile, Francesca Patanè, è spirato il 16 settembre 2009 in seguito a metastasi da cancro. Il 26 agosto u.s. – da sola, come sempre – aveva messo online l’ultimo numero del suo amatissimo e sempre devastante www.ateneopalermitano.it. Nessuno, all’infuori dei familiari, sapeva della malattia che si protraeva dal 1998. Francesca Patanè non voleva la compassione di nessuno e, soprattutto, che la sua condizione di malata venisse a velare – nella mente dei suoi lettori e di coloro ai quali i suoi strali erano indirizzati – la professionalità della sua attività di giornalista.

Francesca Patanè divenne giornalista fin dagli anni dell’Università, nell’amata Catania, alla scuola di Giuseppe (Pippo) Fava, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984 perché – scrisse Francesca Patanè – “… si era opposto coi suoi articoli ai ‘cavalieri’ della città, i maggiorenti che a quel tempo dettavano la storia economica, politica e sociale di Catania.” La verità innanzitutto – costi quel che costi – la legalità e la giustizia, sono sempre stati i soli criteri che hanno ispirato e guidato Francesca Patanè nella scelta e sviluppo dei temi per i suoi articoli e per il suo giornale.

La storia di Ateneo Palermitano è emblematica. Diventata dirigente bibliotecaria all’Università di Palermo, nel 1994 Francesca Patanè ricevette l’incarico speciale dall’allora rettore, Antonino Gullotti, di “riportare in vita il giornale” la cui testata, “Ateneo Palermitano,” aveva visto una pubblicazione molto frammentaria fin dal 1950, con ripetute decadenze della registrazione presso il Tribunale. Per più di due anni, dal 1994 all’ottobre 1996, il giornale dell’Università di Palermo uscì con puntualità – la prima e fondamentale caratteristica di professionalità di una testata – ma “scelte politiche” lo ridussero al silenzio ancora una volta, e alla decadenza della registrazione. Nel 2001, Francesca Patanè registrò a suo nome la testata “Ateneo Palermitano” divenendone proprietaria legalmente riconosciuta dal Tribunale di Palermo e direttore responsabile. Iniziò allora una serie ininterrotta e puntuale di novantuno numeri, fino ad oggi.

I potenti dell’Università di Palermo, inclusi il rettore e il direttore amministrativo, non si sono mai dati pace del fatto che la testata “Ateneo Palermitano” fosse controllata da Francesca Patanè. I suoi editoriali ed articoli, precisi e documentati, misero spesso a nudo una situazione di malauniversità. Il colmo dell’insofferenza istituzionale fu raggiunto nel gennaio 2006 con un articolo che riportava la notizia, già diffusa da giornali nazionali, di due docenti dell’Università di Palermo indagati per associazione a delinquere dalla Procura di Firenze. La macchina silenziatrice dell’Università di Palermo si mise in moto avviando un procedimento disciplinare a carico di Francesca Patanè che le venne comunicato assieme all’articolo del codice di disciplina che prevede il licenziamento senza giusta causa. Francesca Patanè non si diede per vinta e allertò la stampa nazionale del sopruso che si stava consumando. Il giorno stesso della sua audizione davanti alla commissione disciplinare, La Repubblica uscì con un articolo in sua difesa e in difesa della libertà di stampa. I maggiorenti dell’Università, presi alla sprovvista da tanta pubblicità non richiesta, fecero rapidamente marcia indietro e – per bocca del rettore Silvestri – annullarono, di fatto, il procedimento.

Nonostante la bruttissima e pericolosissima esperienza inflittale dall’istituzione alla quale aveva dedicato una vita di lavoro ma che, forse, per avere il quartier generale nello Steri – l’edificio dell’Inquisizione Spagnola – ne aveva assunto lo spirito che trasuda ancora dalle sue mura, Francesca Patanè trasse maggiore convinzione che la libertà di stampa fosse, in assoluto, il primo obiettivo e la prima condizione di una società civile. Così, negli ultimi anni, Ateneo Palermitano divenne un faro di luce a livello nazionale sulle vicende dei concorsi universitari truccati, dei bilanci universitari falsi, della magistratura che quando tratta di vicende universitarie spesso si intorpidisce senza lasciare tracce significative, del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (Miur) che non esegue mai le sentenze del Consiglio di Stato, del Miur che gestisce una privatizzazione latente dell’Università italiana a partire dalle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia e dalle Scuole Superiori per Mediatori Linguistici. Ateneo Palermitano prese spesso le difese di singoli ricercatori e professori tartassati dalle cosche baronali. Si scagliò contro le inutili ricette dei luminari di entomologia che non sanno fare niente di proficuo contro il punteruolo rosso che devasta le secolari palme di Palermo e della Sicilia.

Francesca Patanè amava la bellezza dello scrivere, la bellezza del vivere, la bellezza del mare di Cofano. Con la sua giustizia morale e onestà intellettuale ha fatto un grande onore al giornalismo.

È scomparsa una voce chiara ed importante.

Quirino Paris


Ah! Non credea mirarti sì presto estinto, o fiore …

Francesca Patanè ci ha lasciato. E’ andata via in sordina, senza clamori, lontana dalle luci della ribalta.
Vulcanica come la terra che l’ha partorita, estroversa e solare, era – nel privato – estremamente schiva, riservata, gelosa della propria privacy.
Ci mancherà Francesca, ne sono sicuro io, ne sono sicuri tutti coloro che hanno avuto la fortuna ed il privilegio di conoscerla ed apprezzarla.
Giornalista vera, di quelle con l’iniziale maiuscola, mosse i suoi primi passi alla scuola di Pippo Fava, giornalista catanese dalla limpida etica professionale e libertà di pensiero, ucciso dalla mafia a causa delle battaglie sociali intraprese. Come ha affermato Francesca in un suo editoriale dell’anno scorso (“Schiavitù di stampa”), “è difficile essere liberi. Si rischia, se va bene di rimanere isolati, se va male di venire ammazzati”. De Mauro, Fava, Francese, testimoniano con la loro morte la bontà di questa affermazione.
Raccolto idealmente il testimone del suo Maestro, Francesca Patanè ha deciso di rispettarne la memoria cercando – con animo libero e scevro da pregiudizi – sempre la verità, comoda o scomoda che fosse, ma senza animosità. Come ha avuto modo di dire nel suo ultimo e per molti versi emblematico editoriale (“Tamburro fino in fondo”), non ha mai scritto “contro” qualcuno per partito preso, ma solo contro chi operava in modo discutibile perché – seguendo l’insegnamento di Fava – solo “un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo” (v. Pippo Fava, “Lo spirito di un giornale”).
Francesca Patanè ha amato molte cose, piccole e grandi: la sua casa, i suoi affetti, la sua amata Catania, Palermo, il mare di Cofano, le sue piante, la musica, il bello ovunque esso si manifestasse … ma, al di sopra di tutto (affetti a parte), amava, appunto, la verità e l’integrità morale. Ciò che, in definitiva e a ben pensarci, rende più o meno belle le persone al di là del loro aspetto fisico.
Di contro, odiava la menzogna, l’ipocrisia, le falsità ovunque si annidassero.
Era scomoda Francesca Patanè, ma non per via del suo carattere, visto che era persona di grande gentilezza e disponibilità. Lo era perché molta parte della nostra società non ama essere ripresa in nome di valori sempre più condivisi più a parole che in concreto.
Nonostante tutto e tutti e nonostante le molte delusioni (le persone sensibili come lei sono più facilmente soggette a essere ferite dai comportamenti più o meno coscienti degli altri), era un’ottimista. Estremamente realista, non riteneva di essere una riedizione al femminile di Don Chisciotte. Diversamente dal personaggio di Cervantes, l’immaginazione non le faceva mai perdere il senso della realtà. E, nella eterna lotta tra il bene e il male, lei era dalla parte del primo e nemica giurata del secondo. Senza tatticismi e comode vie di fuga.
Fine scrittrice, recentemente aveva anche terminato di scrivere un libro la cui stesura l’aveva impegnata per anni. Purtroppo non ha potuto vederlo edito ed esposto in libreria. Controcorrente anche in questa esperienza letteraria, il messaggio che lascia in questo scritto va al di là della parola in sé. E anche se lei amava definire “una storia così” la vicenda da lei descritta, essa tutto può dirsi essere tranne che una storia banale.
Lascia un grande vuoto, Francesca, ma – al di là dei tanti ricordi e delle fotografie che inesorabilmente sbiadiscono con il tempo (Trénet docet) e contrariamente a chi sostiene che con il tempo tutto se ne va (Leo Ferré) – lascia soprattutto una preziosa eredità a chiunque vorrà raccoglierla, a chiunque vorrà trarre insegnamento dai suoi editoriali, dai suoi articoli, dai suoi scritti, dall’averla personalmente conosciuta: quell’amore e rispetto per la verità a qualunque costo e senza compromessi. Anche a costo di soffrire.
E a ben pensarci ha ancora una volta ragione lei quando sostiene che “è l’amore la chiave di tutto, che rende forti e vulnerabili, che è fonte di ispirazione e che dona a chi sa assecondarlo, quella capacità creativa, a volte davvero sorprendente, a volte silente per anni, che induce a fare, a dire, a realizzare”. Ha ragione nel sostenere che “è l’amore la molla che, oltre le parole cercate per spiegarne razionalmente le motivazioni, spinge un essere umano a scrivere, ovvero a mettere su carta idee, pensieri e sensazioni”.
La “Signora in rosso”, come ebbe modo di definirla affettuosamente il prof. Nino Buttitta nel corso della presentazione di una guida alle biblioteche universitarie da lei pubblicata nel 1988, ci lascia in punta di piedi con la discrezione e lo stile che l’ha sempre contraddistinta.
Lascia la direzione del suo amato “Ateneo Palermitano”. La lascia – ne siamo certi – per un “superiore”, più prestigioso incarico.
Ciao, Francesca, a rivederci.

Gabriele Pomar