L’ingegno è di casa ma nessuno lo sostiene

Rubrica: Ricerca & innovazione

L’Italia è un Paese che da tempo ha rinunciato alla ricerca e all’innovazione.
Questa tendenza, che ormai dura da anni, è stata confermata anche dalle più recenti stime dell’Ocse. Il Belpaese ha destinato in ricerca e sviluppo solo l’1,1% del Pil, la metà rispetto alla media del G7; insufficiente anche il contributo di imprese e Università, che ammonta al 40% degli investimenti in innovazione. Ancora troppo poco, paragonato al 53% della media-Ocse.

Il Paese ha forse esaurito quello spirito creativo che, nei secoli, ha garantito agli italiani la fama di ottimi inventori? Nonostante la scarsa attenzione delle istituzioni nei confronti della ricerca, verrebbe da dire che non è così. Anzi, se c’è un dato che, rispetto agli anni precedenti, ha recuperato terreno è la quantità di brevetti registrati in Italia: nel 2009 sono stati circa 9.600.

Certo, l’ingegno di un popolo non si può valutare con un’analisi quantitativa, bisogna tener conto della qualità delle idee brevettate, ma comunque questi dati lasciano ben sperare. E anche se trent’anni fa l’ammontare di brevetti registrati era di gran lunga superiore non bisogna dimenticare che quelli erano altri tempi. Oggi, con una crisi economica ancora da superare, il tasso di disoccupazione che avanza e il debito pubblico alle stelle è già tanto se qualcuno trova il tempo per farsi venire una buona idea da brevettare.

O forse no, vale il discorso opposto: è la necessità che aguzza l’ingegno.
E allora non resta che sperare che il governo sappia fare di necessità virtù e torni a investire sul genio italiano.

Matteo Ferrante
(febbraio 2010)