La “Dichiarazione di Catania” e l’università siciliana

Rubrica: Mondo accademico

La Sicilia costituisce un ponte naturale tra Europa ed Africa, tra Oriente ed Occidente mediterraneo: è sotto gli occhi di tutti. Chi l’ha visitata ha potuto constatare personalmente che l’isola non è stata solo un punto di scontro per il predominio commerciale e militare del Mare Mediterraneo, ma anche e soprattutto un luogo di incontro, di confronto, di rielaborazione di culture diverse. Anche oggi – a parole – si versano fiumi di inchiostro per sostenere ciò che la natura e la storia hanno tratteggiato per questa terra.

A dire il vero, di questo ruolo sono forse più consci coloro che siciliani non sono piuttosto che gli abitanti stessi dell’isola, tradizionalmente più propensi a vedersi scorrere addosso la storia che a recitare ruoli da protagonista.  Ciò spiega in parte perché durante l’ultimo semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, nel novembre del 2003, l’allora Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica, Letizia Moratti, ha lanciato a Catania una iniziativa (internazionalmente conosciuta come “Catania Project”) per “sviluppare le risorse umane e promuovere la comprensione tra differenti culture e l’avvicinamento tra gli abitanti dell’Area Euro-Mediterranea”. L’iniziativa del Ministro italiano intendeva dare un seguito concreto al “Processo di Barcellona” avviato pochi anni prima (1995) nel capoluogo catalano.

Alla conferenza del 2003 ne seguirono altre che con la “Dichiarazione di Catania” (3^ Conferenza di Catania, gennaio 2006) meglio definirono la portata di quanto si voleva realizzare. All’interno della struttura di questo ambizioso progetto furono originariamente individuati dal Ministro Moratti quattro distinti obiettivi:

  1. la creazione di un certo numero di Centri Euro-Mediterranei per l’Educazione e la Ricerca a livello universitario, supportati dai Paesi del MEDA e che avrebbero dovuto offrire programmi che avrebbero dovuto coinvolgere sia gli staff di insegnanti a livello locale, sia gli staff di insegnanti provenienti dagli altri Paesi mediterranei e dai Paesi membri dell’unione Europea;
  2. lo sviluppo di un Sistema di insegnamento a distanza multilingue basato su di una piattaforma di comunicazione comune per i Paesi dell’Area mediterranea;
  3. la facilitazione della mobilità degli studenti, di staff di insegnanti e di ricercatori tra i Paesi dell’Area mediterranea;
  4. la creazione di una biblioteca digitale accessibile da tutti i Paesi dell’Area mediterranea.

Le università isolane, ovviamente, avranno subito colto al balzo un’occasione come quella servita dal Ministro… No, nulla di tutto ciò. Alle parole, alle adesioni formali, in realtà – stando ai dati riportati nel sito del Ministero – sono seguiti pochi fatti concreti. Con l’aggravante che, con l’avvento della presidenza francese, gli scenari hanno subito significative modificazioni. Ricordate quanto denunciammo da queste pagine sul “Politecnico del Mediterraneo”?

Bene, il 9 giugno del 2008, è stata inaugurata a Pola (Slovenia) una Università Euro-Mediterranea la cui ragion d’essere in una zona tanto decentrata è – per chi è siciliano o anche più semplicemente, meridionale – difficile da comprendere (e ciò senza voler nulla togliere alla Slovenia e agli sloveni).
Come per il Politecnico del Mediterraneo, anche nel caso dell’Università Euro-Mediterranea (EMUNI University), alla Sicilia (la cui centralità mediterranea e il cui ruolo naturale “ponte” tra civiltà diverse è fuori discussione) si è preferito “altro” seguendo logiche che privilegiano più direttamente i Paesi dell’Europa continentale invece che quelle relative ai Paesi europei più strettamente legati all’Area Mediterranea e a cui si rivolgeva in origine e con maggiore enfasi il Processo di Barcelona. E’ vero che tra le università italiane facenti parte dell’Euro-Mediterranean Academic Consortium Agreement (CREMO – EMACA) costituitosi il 24 ottobre del 2008, ritroviamo anche l’Università degli Studi di Catania, ma è altrettanto vero che a quell’appuntamento mancavano all’appello gli altri tre atenei siciliani (Università degli Studi Kore di Enna, Università degli Studi di Messina, Università degli Studi di Palermo), un’assenza emblematica di come non si riescano a percepire per tempo i flussi della storia. Soprattutto oggi, in un momento – cioè – di grave crisi economica e di tagli e restrizioni di fondi di provenienza ministeriale, è necessario sapersi ritagliare nuovi spazi, inserendosi organicamente in tutte quelle attività che il Processo di Barcellona e la Dichiarazione di Catania avevano così ben delineato.

E’ singolare notare come università come Pavia e Padova, cogliendo lo spirito della Dichiarazione effettuata nel capoluogo etneo, abbiano avviato interessanti partnership con università di area islamica. E’ singolare e – al tempo stesso – anche inquietante perché si queste iniziative evidenziano quello che appare come un vuoto tanto apparente quanto inspiegabile.

Federico de Linares
(marzo 2010)