Omertà al Parlamento Europeo

Rubrica: Ateneo palermitano

Facciamo un gioco. Se dico Sicilia qual è la prima cosa che vi viene in mente? Forse il bel sole che irradia questa terra? La brezza marina che ne accarezza le coste? La nota ospitalità dei suoi abitanti? Il vulcano più elevato d’Europa? No, probabilmente la prima associazione d’idee comprende parole come mafia, criminalità. Chi è nato su quest’isola sa bene cosa significa essere etichettati.

In molti cercano ancora di vivere onestamente ma il dubbio si insinua sempre pericoloso. Non importa se alcuni siciliani hanno dato la vita per contrastare il crimine, non importa se molti chiedono a gran voce legalità. Chi è siciliano, quasi sicuramente è anche mafioso. Nella migliore delle ipotesi si tratta di uno che non svolge attività criminali ma che preferisce non denunciare chi disonora la Sicilia. Questa però è soltanto una visione parziale del fenomeno.

Guardiamo ai giovani, per esempio, ai tanti che alla mafia dicono no, a quelli che cercano di costruire un futuro migliore, con i pochi mezzi a disposizione. Chi meglio di loro rappresenta la speranza nel cambiamento? Eppure quando ottanta studenti dell’Università di Palermo, lo scorso 18 marzo, si sono presentati a Bruxelles, al Parlamento Europeo, per far sentire la loro voce, prendendo parte ad un confronto sulla criminalità transnazionale – nell’ambito del progetto “Studenti cittadini d’Europa” – sono stati costretti ad una lunga sosta di fronte ai cancelli. La ragione? Indossavano tutti una maglietta con un messaggio di condanna contro la mafia. La vicenda ha dell’incredibile.

Per riuscire nella mirabile impresa, i ragazzi hanno dovuto oltrepassare i cancelli senza indossare la “t-shirt della discordia”. Una volta all’interno dell’edificio le magliette hanno fatto nuovamente la loro comparsa. Si dirà che il Parlamento Europeo fa bene a prendere le distanze da una dimostrazione di questo tipo, perché la mafia andrebbe contrastata diversamente, in maniera più concreta. Ma il gesto dimostrativo dei ragazzi dell’Ateneo doveva essere accolto come il segnale importante di una parte della cittadinanza. A mettere in imbarazzo, invece, è il comportamento di una importante istituzione che, di fronte ad un messaggio contro la criminalità, ha preferito non esporsi.

Matteo Ferrante
(aprile 2010)