Al bando i social network

Rubrica: Mondo accademico

All’Università degli Studi di Catania siti come Facebook e Myspace non sono raggiungibili dalla rete Internet dell’Ateneo. L’applicazione di filtri, in qualche misura comprensibile, è la diretta conseguenza di una circolare del direttore amministrativo sull’Uso improprio di rete e computer d’ateneo, ma la decisione ha incontrato le (legittime) perplessità di studenti e professori.

Se da un lato è giusto che gli Atenei si tutelino bloccando l’uso di programmi per lo scambio e la condivisione di materiale protetto da copyright (i cosiddetti programmi peer to peer oppure le piattaforme per lo streaming di file video), dall’altro è difficile giustificare la decisione di “oscurare” anche siti di social networking quali, appunto, Facebook e Myspace.
Evitare un uso della rete per attività illecite come quelle legate alla pirateria è una scelta che muove da considerazioni valide, soprattutto sul piano legale, ma non può dirsi lo stesso delle altre limitazioni imposte dal direttore amministrativo, che sembrano partire invece da considerazioni arbitrarie ed errate. In base a quale ragionamento l’accesso ai social network rappresenterebbe un uso “improprio” della rete dell’Ateneo?

Anche se in molti nutrono seri dubbi sulla reale utilità dei social network, una cosa è certa: un’opinione soggettiva non dovrebbe mai influenzare la gestione di una rete messa a disposizione da un’istituzione pubblica. Si dirà che in molte imprese accade lo stesso, che questi siti sono filtrati per evitare che i dipendenti possano cercare distrazioni sul web anziché rimanere concentrati al loro posto di lavoro, ma può l’Università degli Studi di Catania essere considerata al pari di un’azienda privata?

Alcuni docenti dell’Università si appoggiano proprio a questi siti per avere un contatto diretto con i propri studenti, per condividere materiale didattico oppure per restare in contatto con colleghi di altre università. Se poi consideriamo che in molti ambiti di ricerca (scienze sociali, psicologia, psichiatria) gli studi si stanno concentrando, ormai da qualche anno, sull’uso delle nuove tecnologie, appare ancora più insensata la scelta di limitare l’accesso ai social network. Per non parlare poi dell’aspetto tecnico, che pur dovrebbe contare qualcosa in un Ateneo come quello catanese, che punta molto sull’informatica e sullo studio delle reti.
Non sarà il Massachusetts Institute of Technology ma dall’Università di una città che si propone come polo tecnologico sarebbe giusto aspettarsi maggiore apertura verso certe novità.

Sara Pennisi
(giugno 2010)