Un nuovo Sessantotto?

Rubrica: Editoriale

Sono già passati due anni da quando hanno cominciato a infuriare le prime proteste contro la riforma Gelmini, in un lasso di tempo così lungo diventa difficile quantificare il numero di volte che studenti e ricercatori sono scesi in piazza per contestare la riforma, ma una cosa è certa: mai le proteste avevano raggiunto un così forte impatto mediatico come nelle scorse settimane. Con l’occupazione in massa dei luoghi simbolo della cultura nazionale e l’assedio alla Capitale dello scorso 14 dicembre molti hanno cominciato a parlare di un nuovo Sessantotto. Fu vera gloria?

Ai posteri l’ardua sentenza, eppure mi riesce difficile credere che il paragone abbia un riscontro reale. Chi scrive nel Sessantotto non era neanche nato, ma credo di non sbagliare nel sostenere che le recenti proteste avessero poco in comune con le contestazioni del passato:  oggi sono pochi gli studenti che fanno politica attiva e lo scontro, per quanto violento, non è mosso da ragioni ideologiche, aspetto questo che lascia interdetti se si considera il fatto che comunque gli studenti di oggi dispongono di strumenti e tecnologie – Rete in primis – che nel Sessantotto gli organizzatori potevano soltanto sognare.

C’è poi una differenza che, indipendentemente dall’opinione che si può avere sul Sessantotto, dovrebbe far vacillare le certezze di chi intravede nelle recenti proteste una reminiscenza del passato. Gli studenti che volevano cambiare il sistema universitario nel Sessantotto vedevano nei baroni il loro peggior nemico; dubito possa dirsi lo stesso di quanti hanno contestato la tanto odiata riforma Gelmini, approvata il 23 dicembre a Palazzo Madama. Pur essendo una riforma lontana dalla perfezione, quella firmata dall’attuale ministro dell’Istruzione ha infatti un grande merito: quello di voler porre qualche limite allo strapotere dei baroni, per esempio impedendo la proliferazione di corsi di laurea e sedi distaccate.

In altre parole i ragazzi che si illudevano di cambiare il mondo – forse inconsapevolmente – non stavano facendo altro che difendere gli interessi di chi voleva il mantenimento dello status quo. E allora non si parli di un nuovo Sessantotto, quello delle scorse settimane è stato semmai un clima da Restaurazione.

Manfredi Pomar
(novembre – dicembre 2010)