Investire di più, investire meglio

Rubrica: Ricerca & innovazione

All’inaugurazione del centro di eccellenza “Grandi sistemi” di Selex Sistemi Integrati (gruppo Finmeccanica) il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ribadito – aveva già affrontato l’argomento alla Sapienza di Roma e prima ancora al Quirinale, in occasione della Giornata nazionale dell’innovazione – l’importanza degli investimenti nella ricerca.

«Solo se si è capaci di competere sul piano globale» ha detto il capo dello Stato «si è in grado di andare avanti». Il problema è che in Italia «tra le parole e i fatti c’è una differenza notevole». E così, quando si tratta di promettere, i soldi sembrano sempre esserci; quando arriva il momento di mettere mano al portafoglio tutti si defilano. Questa situazione è ormai inaccettabile perché dall’innovazione dipende la ripresa economica del Paese e gli investimenti nella ricerca, stando sempre alle parole del Presidente della Repubblica, potrebbero permetterci di «uscire dalla crisi in condizioni migliori di come ci siamo entrati».

Ma perché in Italia si è così restii ad investire in innovazione?
Il vincolo principale resta il debito pubblico: l’Italia è l’unico Paese europeo con un debito superiore al 100% e tra i Paesi industrializzati soltanto il Giappone vive una situazione più grave della nostra. In un simile contesto diventa impresa ardua trovare risorse per la ricerca ma per quanto ancora l’Italia può permettersi di stare a guardare? Selezionare con rigore gli interventi è una scelta saggia ma non si può pensare di tagliare proprio sull’innovazione, perché sono gli investimenti in questo settore che contribuiscono allo sviluppo del Paese in maniera significativa.

Certo, non basta investire di più, bisogna anche investire meglio, in maniera oculata, ma un Paese che dedica appena l’1% del Pil in ricerca è sicuramente destinato a non andare lontano.

Manfredi Pomar
(dicembre 2009/gennaio 2010)