diretto da Francesca Patanè

gennaio 2006 numero 49

Quando l'abito fa il monaco

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di Francesca Patanè

Se con l'aspetto dimesso con il quale si è mostrata sui manifesti elettorali voleva convincere i siciliani della sua maggiore attenzione alla sostanza e prendere le distanze da chi con bandane e trapianti mostra di curare l'immagine di sé e di ciò che rappresenta alla maniera americana, nonostante abbia vinto le primarie per la candidatura della sinistra a premier siciliano battendo il diretto avversario rettore dell'Ateneo di Catania, non credo che la signora Rita Borsellino ci sia riuscita.
E' la mia opinione, certo, ma è un'opinione che nulla ha a che fare con condizionamenti e appartenenze politiche e che si basa solo sui fatti.
Pertanto non mi lascerò tentare da una squallida notizia di malapolitica regionale per discutere di destra e di sinistra contravvenendo alle mie scelte di etica professionale.
Mi limito soltanto a registrare in questa sede un comportamento censurabile prima di tutto sul piano umano.
Perché l'operazione della signora Borsellino, che coglie l'occasione drammatica dell'omicidio del fratello per costruirci sopra una carriera politica, non mi sembra un'operazione pulita, né per la signora in questione, né per la parte politica da lei rappresentata.

Un'operazione purtroppo non poco frequente che ha visto succedere negli anni in Italia, per lo stessa area di appartenenza (non è insinuazione, ma oggettiva constatazione), cognomi a cognomi: dai Mattarella ai Fava, dai Dalla Chiesa ai D'Antona.
Con un'unica eccezione: Maria, sorella di Giovanni Falcone, che alle lusinghe di certa politica necrofora ha saputo dire di no.

Ma la recente determinazione della sorella di Paolo Borsellino, che per raccattare credibilità e fiducia sulle sue improvvisate doti di politico in grado di reggere le sorti di un Paese difficile come la Sicilia ha pure fatto ricorso agli studenti universitari (un'assemblea è stata indetta anche alla Cittadella di viale delle Scienze di Palermo) e che trascura la trave e si lascia "infastidire" dalla pagliuzza di chi parlando di suo fratello lo chiama "Paolo", è doppiamente da stigmatizzare.
Perché tale determinazione non solo tradisce la memoria, ma tradisce anche l'ideologia di Paolo Borsellino, le cui simpatie, com'è noto, tendevano a destra.
Una pugnalata alle spalle post mortem che avrà fatto sicuramente scuotere Paolo - non me ne voglia la signora Borsellino se anch'io lo chiamo così - nella solitudine del suo moralmente violato sepolcro.

Sull'altro candidato, lo sconfitto rettore di cui vi avevo anticipato nell'editoriale del precedente numero e che, mal per lui, di cognome fa solo Latteri, lascio a voi ogni considerazione.
Prima però rispondete a questa domanda: può basare una campagna elettorale sulla lotta al precariato, "elemento fondamentale dell'azione di governo" - come Ferdinando Latteri ha dichiarato - sperando di avere successo, chi sul precariato basa la forza organizzativa della sua Amministrazione?
Perché a Catania - e questi sono dati - ci sono più di duecento unità non strutturate di origine Lsu e Puc (oltre ai vari ex Co.Co.Co. pagati su fondi di Istituti e Dipartimenti), come potete leggere proprio su uno degli articoli di questo numero di Ateneo...


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