giugno 2006 numero 54

speciale
E in principio fu... lui
Intervista a Giovanni Anania, il professore calabrese il cui caso
ha messo in moto Quirino Paris e le sue denunce a mezza Italia

di  Francesca Patanè

nella foto: Giovanni Anania

Che è una vittima del sistema non vuole sentirselo dire: una vittima, dice, non vince.
E lui, invece, la sua personale battaglia contro la malauniversità nazionale l'ha già vinta. Uno a zero per il folletto Anania.
Occhi neri, mobili e fulminanti, energia che scappa da tutti i pori, mente fervida e coi pensieri che corrono a mille all'ora: Giovanni Anania è il folletto scomodo dell'intellighentia economico-agraria nazionale, di quell'intellighentia da dove lo volevano scacciare: troppo bravo, troppo ribelle, troppe pubblicazioni, poi - ventidue in un anno - ma vogliamo scherzare?
Uno così è chiaro che oscura, meglio per tutti se resta com'è.

E com'era, Giovanni Anania nel 2003?
Era un professore "straordinario". Intendiamoci, straordinario lo era allora e lo è ancora, da un certo punto di vista.
Ma gli uomini straordinari, quando sono professori universitari, hanno bisogno di conferme.
La legge è legge, e la legge prevede che i vincitori di concorso a professore ordinario dopo il triennio di "straordinariato" debbano essere giudicati da Commissioni nazionali e confermati.
Ed è proprio dalla sua Commissione di conferma a ordinario che cominciano i guai dello "straordinario" folletto scomodo Giovanni Anania...

- Professore, ci racconta che cosa le è accaduto nel 2003?

- La legislazione vigente prevede che i professori vincitori di concorso a professore ordinario, al termine di un triennio dopo la presa di servizio in qualità di professore straordinario, siano sottoposti al giudizio da parte di una commissione nazionale che, valutata la loro “operosità scientifica” nel triennio, li confermi nel ruolo di ordinari. Il professore che non riceva giudizio positivo può essere conservato nei ruoli dal Comitato Universitario Nazionale ed essere sottoposto ad un secondo giudizio dopo un ulteriore biennio. Il professore al quale il Cun non conceda tale biennio aggiuntivo, o che riceva un giudizio negativo alla conferma anche dopo tale biennio, decade dai ruoli. Il giudizio di conferma è nella stragrande maggioranza dei casi un atto formale e si chiude con un parere favorevole.
Le Commissioni nazionali di conferma sono nominate dal Cun, che non ha attualmente al suo interno docenti del mio settore scientifico-disciplinare. Pertanto le questioni di ordinaria amministrazione relative a questo settore sono istruite dai membri del Comitato d’Area in Scienze agrarie e veterinarie (composto dai professori Enrico Porceddu, coordinatore; Graziano Zocchi e Paolo Inglese) che, in assenza di informazioni specifiche, fa, anzi, faceva (le cose sono cambiate dopo quello che è successo…) buon uso delle indicazioni che gli pervenivano dai colleghi del raggruppamento. Il prof. Mario Prestamburgo ha esplicitamente ammesso che dal settore scientifico disciplinare che lui coordinava – chiamato da lui stesso “cabina di regia” – arrivavano al Cun le proposte di formulazione delle Commissioni di conferma.
Nel caso della mia Commissione, il Comitato ricevette dal settore scientifico-disciplinare il suggerimento di designare come membri i professori Francesco Bellia, dell’Università di Catania, Antonino Bacarella, dell’Università di Palermo, e lo stesso Mario Prestamburgo.
Ma i membri del Comitato d’Area del Cun, essendo a conoscenza di una mia denuncia pubblica nei confronti del prof. Prestamburgo, valutarono inopportuno che questi fosse membro della mia Commissione di conferma e designarono al suo posto il prof. Giovanni Cannata, ritenendo che la sua autorevolezza scientifica e il suo ruolo istituzionale - il prof. Cannata è da molti anni rettore dell’Università del Molise - costituissero una garanzia sufficiente per un giudizio equo.
La Commissione di conferma espresse, a maggioranza e con il voto contrario del prof. Cannata, parere sfavorevole alla mia conferma in ruolo.
Ecco quello che accadde: a sorpresa e clamorosamente, tra lo stupore generale, io non venni confermato a professore ordinario.

- Ha accennato a una denuncia pubblica - bersaglio Prestamburgo - ricollegabile, se non sbaglio, a un seminario che lei aveva organizzato e che le venne cancellato. E’ da questa cancellazione, e da quella sua denuncia, che partì la scelta di silurarla in Commissione di conferma? Ci raccolta la storia di quel Convegno?

- E’ una brutta storia… I ricercatori di un “Programma di Ricerca Scientifica di Rilevante Interesse Nazionale” del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di cui ero coordinatore scientifico nazionale, decisero di organizzare per il 28 Novembre 2002 un Convegno nazionale sui temi oggetto delle loro ricerche. L’invito con il programma del Convegno fu diffuso un mese prima via fax e per e-mail in tutt’Italia.
Il prof. Prestamburgo, ricevuto l’invito, contattò telefonicamente i relatori, dicendo loro che riteneva “inopportuna” la partecipazione a quel Convegno e la presentazione dei risultati delle ricerche.
Tutti i docenti contattati decisero di aderire all’“invito” di Prestamburgo e a quel punto, naturalmente, il Convegno venne cancellato.
Dopo la cancellazione io decisi di denunciare pubblicamente quanto accaduto, e lo feci con una lunga lettera inviata agli oltre cinquecento soci della Società Italiana di Economia Agraria, per la stragrande maggioranza docenti universitari del settore.

- Che scrisse in quella lettera?

- Che difendevo la dignità del gruppo di ricerca che coordinavo, e che rivendicavo il diritto di presentare liberamente i risultati del nostro lavoro senza dover subire pressioni e ricatti.
Alla lettera seguirono diverse prese di posizioni pubbliche di colleghi che espressero la loro indignazione, una replica del prof. Prestamburgo e una mia seconda lettera. Naturalmente il prof. Prestamburgo non ritenne opportuno sporgere querela nei miei confronti.

- Ma perché il prof. Prestamburgo avrebbe dovuto ritenere opportuno “sconsigliare” la partecipazione a quel Convegno?

- La mia opinione è che il prof. Prestamburgo ritenne inaccettabile che qualcuno potesse pensare di organizzare in Italia un Convegno di quella visibilità scientifica, e su un tema di grande rilevanza per il sistema agro-industriale del Paese qual è la riforma delle politiche agricole dell’Unione Europea, senza chiedere a lui preventivamente un parere sui relatori da coinvolgere.

- Torniamo alla Commissione ad hoc suggerita dalla “cabina di regia” apposta per lei.

- Credo che quella Commissione fosse stata definita con l’obiettivo precostituito di esprimere parere sfavorevole alla conferma, a prescindere dalle attività da me svolte nel triennio in esame: lo scopo era non solo quello di “darmi una lezione”, ma anche – soprattutto - di dimostrare che nessuno tra gli economisti agrari può permettersi comportamenti non cooperativi o, peggio, di denuncia, senza aspettarsi di essere adeguatamente colpito.
Quando ho scritto la lettera di denuncia sapevo esattamente ciò a cui andavo incontro. Il controllo di un’area scientifico-disciplinare come quello esercitato dal prof. Prestamburgo e dai colleghi che gli sono più vicini, per stare in piedi non può consentire che qualcuno esprima critiche impunemente. Se ciò accadesse il sistema si frantumerebbe rapidamente; d’altra parte la certezza di sostenere un forte costo nel caso di mancata accettazione delle regole è ciò che rende quasi tutti indisponibili alle denunce. In quest’ottica la “punizione” della mancata conferma non può stupire.

- E i suoi titoli, le pubblicazioni? Tutta roba inutile?

- La distanza tra il lavoro da me svolto nel triennio di straordinariato e il giudizio della Commissione è marcata: una ventina di lavori scientifici; coordinatore nazionale di un Programma di ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale del Miur; coordinatore nazionale di un gruppo di ricerca dell’Istituto nazionale di Economia agraria; relatore al Convegno dell’Associazione americana degli economisti agrari e a quello dell’Associazione mondiale degli economisti agrari; membro del comitato editoriale dell’European Review of Agricultural Economics; membro eletto del Comitato esecutivo dell’Associazione europea degli economisti agrari; direttore del Dipartimento di Economia e Statistica dell’Università della Calabria…. Insomma, tutto un volume di attività che va molto al di là di quello che viene generalmente ritenuto sufficiente ad esprimere un giudizio positivo di conferma nel ruolo di professore ordinario.
La decisione della Commissione, per la sua evidente irragionevolezza, suscitò, come ho già detto, un gran numero di reazioni. Tra queste quella degli Organi accademici dell’Università della Calabria, il cui rettore ritenne opportuno esprimere ufficialmente l’indignazione sua e dell’intero Corpo accademico attraverso due lettere indirizzate al ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e al Presidente del Cun, e due lettere di denuncia sono pervenute al ministro anche da parte di trentadue professori ordinari italiani di raggruppamenti disciplinari diversi e da trenta professori universitari di Economia agraria di diciannove Paesi europei.

- Nonostante il tentativo di relegarla al ruolo di brutto anatroccolo, una sentenza del Tar, a cui lei si era rivolto per avere giustizia, ha confermato che invece per l'Economia agraria italiana lei è davvero un bel cigno. Insomma le ha dato ragione, azzerando tutti i risultati della Commissione che l'aveva bocciata. Una bella soddisfazione.

- La decisione della Commissione era sbagliata nel merito e illegittima dal punto di vista formale. Il Tar del Lazio ha emanato sentenza di annullamento del verbale e intimato l’ “integrale rinnovazione del procedimento”. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha giudicato la sentenza del Tar conforme alla giurisprudenza e ha deciso di non ricorrere al Consiglio di Stato. Il Cun ha nominato una nuova Commissione e questa, di recente, ha espresso, unanime, parere favorevole alla mia conferma in ruolo. Fine della storia.

- Dunque una indiscutibile vittoria a livello personale, ma anche un importante precedente, un segnale significativo... Lei non pensa che il suo caso alla luce dei recenti risultati - come si dice - possa fare giurisprudenza, in materia di trasparenza delle carriere universitarie?

- Si e no. Dal punto di vista formale un giudizio di conferma in ruolo si basa sul giudizio di merito di una Commissione. Sebbene la Commissione sia obbligata ad esprimersi entro i limiti definiti dalla norma, questi sono abbastanza laschi da consentire decisioni formalmente difficili da eccepire, anche se palesemente incongruenti dal punto di vista sostanziale: basti vedere la distanza stratosferica tra i giudizi espressi nel mio caso tra i membri di maggioranza dalla prima Commissione nominata dal Cun e il membro di minoranza, dove le medesime informazioni sul mio conto erano giudicate di eccellenza internazionale da questi, e talmente mediocri da giustificare l’espulsione dai ruoli dell’Università dai primi.
In altre parole, il positivo esito della mia vicenda in sede giudiziaria è stato anche reso possibile dal fatto che i commissari che hanno espresso un giudizio negativo lo hanno fatto, per mia fortuna, in palese contraddizione con le norme che regolano la materia specifica. Se fossero stati più abili ed attenti, cioè meno convinti che un professore universitario possa fare quello che vuole in una Commissione di concorso o di conferma senza che alcuno possa sollevare obiezioni, probabilmente non sarei riuscito a far valere le mie ragioni per un giudizio equo: un giudice non può entrare nel merito della valutazione scientifica dei membri di una Commissione, ed è anche giusto che sia così.

- Che cosa si deve fare, a suo parere, per garantire i diritti di tutte le vittime, come lei, di questo sistema?

- Intanto non mi sento affatto vittima di questo sistema. E’ vero, mi sono trovato a dover combattere una battaglia giudiziaria contro comportamenti illeciti lesivi dei miei diritti da parte di alcuni colleghi, ma l’ho vinta.
Oltretutto la mia opinione è che non tutti i settori disciplinari in Italia sono caratterizzati dal prevalere di comportamenti così patologicamente deviati come quelli che caratterizzano l’ambiente degli economisti agrari.
Penso che sia ingiusto, e strategicamente sbagliato, tanto affermare che tutta l’Università italiana sia caratterizzata da comportamenti degenerati ed eticamente censurabili, tanto sostenere il contrario, cioè che l’Università italiana è sana come un pesce e che, se qualche devianza c’è, è del tutto marginale e legata esclusivamente a comportamenti illegali individuali. La gran parte dell’Università italiana è sana, ma i comportamenti degenerati non sono marginali.
E’ necessario riconoscere che gran parte dei professori universitari italiani non si riconosce affatto nelle pratiche clientelari, che ignorano doveri dei commissari e diritti e meriti dei candidati.
Ma è necessario anche modificare le regole, per ridurre i margini di arbitrio dei membri delle Commissioni. Come dicevo prima, la mia opinione è che ciò possa avvenire sorteggiando i membri delle Commissioni - di valutazione e di conferma - rompendo il potenziale rapporto perverso tra eletti nelle Commissioni, i loro elettori e l’esito delle procedure concorsuali. Come già avviene, d’altra parte, per la conferma dei professori associati e dei ricercatori.
Perché non dovrebbe essere così anche per quella dei professori ordinari?

- Come dovrebbe essere strutturato il meccanismo delle assunzioni nell'ambito della docenza accademica perché si possa esser certi del suo funzionamento "trasparente"?

- La mia opinione è che bisognerebbe smetterla di considerare le procedure di selezione delle Università italiane come concorsi in cui i commissari possono esercitare il libero arbitrio al di fuori di qualsiasi criterio prestabilito, in cui non esistono né diritti dei candidati né doveri dei commissari.
Bisogna che le Università garantiscano, e che i candidati pretendano, la massima trasparenza sulle procedure, il che vuol dire accesso ai curricula dei candidati, alle informazioni sulle procedure seguite nelle valutazioni e sul loro esito (il che di rado avviene, nonostante sia previsto dalle norme).
Per quanto possa meravigliare, la piena pubblicità dei curricula dei candidati e delle valutazioni espresse dai commissari costituisce di per sé un disincentivo (se non per tutti, almeno per la stragrande maggioranza dei commissari) a compiere scelte lontane da quelle suggerite della valutazione delle pubblicazioni scientifiche dei candidati sulla base dei criteri oggettivi internazionali di valutazione qualitativa, consolidati ormai in molte aree disciplinari.
Inoltre, bisogna non aver paura di pretendere il rispetto delle regole, che esistono, e quando questo non avviene, è necessario avere fiducia nella giustizia.
Io credo, anche alla luce di quanto ho avuto modo di vedere in altri Paesi, che un sistema di reclutamento universitario “perfetto” non esista. Penso che per restituire credibilità al sistema italiano sia essenziale - ripeto - la definizione delle Commissioni per sorteggio invece che per elezione, in ambito locale o nazionale poco cambierebbe a quel punto. Anche il sistema misto (alcuni membri eletti, altri sorteggiati), frutto di una mediazione tra il vecchio e il nuovo, non gioverebbe a far “saltare” il legame perverso tra eletti e rappresentanza/tutela degli interessi degli elettori nelle procedure di valutazione.
Dunque sorteggio e, come dicevo prima, obbligo di trasparenza delle procedure, attraverso la pubblicizzazione della storia professionale dei candidati e delle valutazioni dei commissari.

- Lei è venuto a Roma, al processo Paris, in qualità di testimone. Che cosa l’ha spinta, prima di tutto?

- Conosco il prof. Paris da più di trent’anni: sono stato suo studente all’Università della Calabria e all’Università di California. Ho grande stima del prof. Paris, sia sul piano scientifico sia su quello personale. Mi ha insegnato moltissimo dal punto di vista professionale, ma è stato anche, per me, un esempio coerente di come, nella ricerca come nella vita, si debba sempre ragionare e decidere senza farsi condizionare da ciò che i più danno per scontato, dalle teorie scientifiche come dai comportamenti sociali. Il prof. Paris mi ha insegnato come un buon cittadino e un bravo scienziato debbano sempre interrogarsi criticamente, anche su ciò che appare evidente: in molti casi si confermerà la giustezza di quelle tesi o di quei comportamenti, in altri casi non sarà così.
Non avrei mai avuto dubbi nell’accettare la sua richiesta di andare a dire davanti a un giudice quello che so.
Peraltro, la denuncia per querela di cui il prof. Paris è stato oggetto scaturisce da due lettere inviate al Cun e scritte sull’onda dell’indignazione per il giudizio negativo sulla mia conferma espresso a maggioranza dalla Commissione: quindi c’è anche un mio coinvolgimento diretto nella vicenda.
A questo proposito vorrei aggiungere che le lettere di denuncia del prof. Paris, scritte con senso di responsabilità e con una capacità di autovalutazione che gli vanno riconosciuti, hanno radicalmente modificato le modalità di definizione delle Commissioni di conferma a professore ordinario per il mio settore scientifico-disciplinare: dunque la fondatezza dei rilievi mossi dal prof. Paris è stata implicitamente riconosciuta.

- Il prof. Paris dice che per guarire alla radice i mali dell'Università italiana occorrerebbe eliminare il valore legale della laurea e abolire il Ministero dell'Università e della Ricerca o almeno ridurne i poteri di intervento. Tanti altri, non solo docenti, ne sono convinti alla stessa maniera. Sull'altra sponda ci stanno agguerriti sostenitori del contrario.
"Ateneo Palermitano" sta aprendo un dibattito su questo tema. Lei da che parte sta?


- Sono d’accordo con il prof. Paris sul fatto che l’abolizione del valore legale della laurea avrebbe molti effetti positivi sul funzionamento del sistema universitario italiano. Essa introdurrebbe elementi di competitività tra gli Atenei e, riducendo il numero degli studenti in alcune aree disciplinari, determinerebbe un netto miglioramento della qualità della formazione universitaria.
Ritengo che sarebbe molto utile avviare un dibattito serio in Italia su questa questione. E’ necessario avere però ben presente che la maggior parte delle Università non sono pronte ad affrontare una più marcata competitività e che molte non stanno facendo nulla per attrezzarsi ai nuovi scenari che, comunque, sono dietro l’angolo.
Questo vuol dire che il fronte contrario all’abolizione del valore legale del titolo di studio va ben oltre i confini degli interessi delle Università private meno qualificate...

- Professore Anania, sinceramente, chi vincerà, secondo lei, al processo Paris?

- Non conosco il diritto penale e immagino che ci sia sempre un margine di aleatorietà nelle decisioni di un giudice, ma francamente non vedo come i giudizi espressi dal prof. Paris possano essere giudicati diffamatori. Oltretutto le accuse mosse mi sembrano ben poca cosa rispetto alle ipotesi di reato su cui sta indagando la Procura di Trieste e su cui la Procura della Repubblica di Firenze ha ritenuto sussistessero sufficienti elementi da giustificare un bel numero di perquisizioni domiciliari e la richiesta di sospensione dai pubblici uffici per sei professori di Economia agraria, compreso, naturalmente, il prof. Prestamburgo.
Quindi mi aspetto che il prof. Paris venga prosciolto perché le sue affermazioni sull’esistenza di una “cupola” nel settore scientifico-disciplinare dell’Economia agraria, peraltro contenute in lettere private ad Organi dello Stato, non costituiscono reato.
Penso anche che il processo potrebbe costituire un’occasione per fare emergere nuovi elementi, utili alle indagini penali in corso.


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