giugno 2006 numero 54

speciale
Il caso Eboli
Intervista a un'altra "vittima" illustre del sistema di stritolamento accademico nazionale

di  Francesca Patanè

nella foto: Mariella Eboli

Maria Giuseppina Eboli - Mariella, come lei preferisce farsi chiamare - è ancora ricercatrice alla Facoltà di Economia della Sapienza di Roma.
Nonostante l'indiscussa professionalità, il coraggio di opporsi a un molto poco trasparente sistema codificato di reclutamento accademico (almeno nelle sue applicazioni) e soprattutto i titoli, certificati e certificabili.
Per questi titoli Mariella Eboli avrebbe dovuto vincere un concorso nazionale per professore di seconda fascia nel settore scientifico disciplinare di Economia ed Estimo rurale al quale invece non viene neanche ammessa all'orale.
La stangata le arriva dai nove membri della Commissione giudicatrice - Prestamburgo, Cantarella, Cassano, Cupo, Ronco, Segale, Sturiale, Tudisca e Volpi.

Tra ricorsi e opposizioni, Maria Giuseppina Eboli dal Consiglio di Stato ottiene l'annullamento di quel concorso, ma la Direzione Generale per l'Università - ovvero l'Organo ministeriale addetto a rendere esecutive le sentenze del settore - a distanza di cinque mesi dalla determinazione del C.d.S. non ha ancora proceduto. Come generalmente non procede davanti all'esecuzione di qualsiasi sentenza da chiunque emanata che richieda l'annullamento di concorsi.

In un'Italia capovolta, dove i denuncianti diventano denunciati, dove il malcostume, la tracotanza, l'inettitudine, le prevaricazioni, gli abusi, i brogli regnano sovrani e dove - come scrive Vittorio Feltri (Libero del 23 giugno 2006) - "la mentalità mafiosa non è una prerogativa solo siciliana, infatti ha contaminato a ogni livello la società", in un'Italia che gira così, noi, che siamo ottimisti e crediamo nella buona fede, nella correttezza e nella trasparenza degli Uffici ministeriali competenti a risolvere la questione, ci aspettiamo che la Direzione Generale per l'Università, nella persona del suo direttore Antonello Masia, dia al più presto seguito all'esecuzione della sentenza che il Consiglio di Stato ha emanato sul caso Eboli.
Perché legalità e giustizia non rimangano solo parole.

Nell'attesa, rispolveriamo, insieme alla protagonista, quest'ennesimo "caso" accademico italiano.

- Dottoressa Eboli, lei, come il professore Giovanni Anania, è un'altra vittima "illustre" di un sistema accademico che tende a stritolare i più deboli, o i "non allineati": del suo caso più volte si sono occupati i giornali nazionali. Racconta anche a noi di quel concorso del '91?

- Il concorso del ’91 è il penultimo dei megaconcorsi per associato (professore di II fascia) dell’epoca precedente la riforma.
Io avevo già partecipato al precedente concorso per 39 posti bandito per il gruppo 258, conclusosi nel 1986/87. Ero stata ritenuta meritevole di considerazione ed inserita tra i 43 ammessi alle prove successive. Poi però non avevo passato il successivo giudizio.
Partecipo poi al successivo concorso per posti di II fascia per il gruppo Economico estimativo G010, conclusosi nel 1991. Qui sono messi a concorso 36 posti, più due riservati, di cui solo uno sarà coperto.
Nonostante avessi ora titoli superiori a quelli di molti vincitori, non vengo neanche ammessa all’orale. Sento questo giudizio come una palese ingiustizia: in questo periodo ho lavorato molto, pubblicato su riviste italiane e straniere, partecipato a gruppi di ricerca e seminari internazionali.
Ma ovviamente tutto ciò non conta rispetto a delle logiche che conoscerò e capirò meglio in seguito.

- ... Lei però non accetta le decisioni della Commissione giudicatrice e, nonostante il parere contrario di chi la sconsigliava, fa ricorso al Tar. Dottoressa, chi la sconsigliava e perché?

- Quasi tutti me lo sconsigliavano. La voce più comune è che in ambiente accademico non si fa! Veramente c’erano anche dei colleghi che con aria maliziosa suggerivano che si tratta di una strategia che può portare benefici a chi non ha titoli sufficienti per vincere con le sue forze, e devo confessare che il solo pensiero che si potesse attribuire questo tipo di motivazione alle mia azione mi ha fatto talora dubitare di andare avanti in un comportamento che io intendevo solo motivato da sete di giustizia.

- Il ricorso si basava su un motivo formale: la presenza in Commissione di un docente che per legge non avrebbe dovuto esserci. Vuole spiegarci meglio?

- Nel ricorso eccepisco tre motivi di invalidità: la presenza in Commissione del professor Cassano, che aveva già partecipato al concorso del 1986; la mancata predisposizione dei criteri da usare nel giudizio; la sovrapposizione temporale tra i lavori della Commissione e quella relativa alla conferma degli associati straordinari.
Infatti Ronco, Segale e Volpi sono soggetti al giudizio di conferma in ruolo proprio da parte del prof. Sturiale, e quindi si può supporre non potessero essere totalmente autonomi nei loro giudizi. In realtà i giudici accetteranno come valido solo il primo dei tre elementi, che si basa su una norma estremamente rigida, che impedisce la partecipazione a due successivi concorsi per la stessa fascia (per ordinario, per associato o per ricercatore).
La ratio della norma è evitare la cristallizzazione del potere in poche mani.
D’altra parte non è vietato che gli stessi professori partecipino a Commissioni di concorso per diversi gradi accademici, purché tra due concorsi dello stesso grado si salti un turno. Quando conveniva mantenere saldamente il potere di giudizio nelle stesse mani si è sempre trovato l’escamotage di dichiarare modificato il gruppo disciplinare, in modo da aggirare la norma.
Questo è avvenuto anche nel caso di cui parliamo, in cui i due raggruppamenti si differenziano solo per piccolissime variazioni terminologiche.

- Dottoressa, perché scelse di ricorrere solo per l'aspetto formale, tralasciando l'aspetto sostanziale che le avrebbe consentito - entrando nel merito del giudizio - di porre la questione della qualità, dal momento che lei era in possesso di titoli superiori a quelli di molti vincitori?

- Perché il giudizio di merito è inappellabile e insindacabile. Mai e poi mai avrei potuto ottenere questo tipo di riconoscimento da una corte giudicante che non può entrare nel merito, ma solo verificare il rispetto dei requisiti formali di regolarità delle procedure.

- Proseguiamo con il racconto. Il Tar le dà ragione e i vincitori di quel concorso si appellano al Consiglio di Stato. Con quale motivazione?

- Come ho già detto, i vincitori del concorso e il Ministero cercano di dimostrare che tra il 1986/87 e il 1991 è cambiata la composizione del gruppo disciplinare, in modo tale che non si possa considerarla la stessa disciplina.

- Ma erano o non erano diversi gli ambiti disciplinari dei due concorsi in cui tra i membri della Commissione c'era il prof. Cassano? Pure il Consiglio di Stato pare abbia avuto qualche perplessità e la sentenza "interlocutoria" del dicembre 2004 lo dimostra.
Insomma, le motivazioni dell'appello dei trentacinque vincitori cos'erano? Un appiglio formale o una questione sostanziale?


- Il raggruppamento disciplinare era sostanzialmente lo stesso, come ha rilevato il Tar e come ha confermato il Consiglio di Stato nella sentenza definitiva. Nella sentenza interlocutoria del 17 dicembre 2004 il collegio giudicante richiede al Murst una “documentata relazione" chiairificatrice. Il Murst risponderà al Consiglio di Stato portando direttamente all’udienza del 30 maggio la documentazione richiesta, che però non aggiunge elementi nuovi e rilevanti.

- Dottoressa Eboli, con quali criteri vengono nominate le Commissioni di concorso come quello a cui lei ha partecipato?

- Ovviamente la risposta non può essere univoca. Dipende dal modo in cui il potere si distribuisce nelle discipline.
Dove c’è una relativa eterogeneità, l’elezione e il sorteggio possono assicurare l’alternanza delle diverse componenti nella gestione delle promozioni, sostanzialmente dominate dal meccanismo della cooptazione. Dove invece il blocco di potere è più compatto e omogeneo, ovviamente chi non ne fa parte deve, e più facilmente può, essere escluso dalla stanza dei bottoni.

- Due dei nove membri della sua Commissione giudicatrice, insieme ad altri illustri nomi del suo stesso ambito disciplinare, in questi ultimi mesi hanno occupato, e continuano ad occupare, le cronache nazionali: Mario Prestamburgo e Salvatore Tudisca - presidente del Sidea l'uno, preside della Facoltà di Agraria dell'Università di Palermo l'altro - entrambi indagati per ben note storie di malauniversità ancora tutte da chiarire. Un caso, la loro presenza in quella Commissione, o che altro?

- Io sono convinta che le vicende del concorso del 1991 sono alla base dell’inarrestabile “presa del potere, e senza fare prigionieri” da parte delle persone che lei cita. E che anche i rilievi non accolti a livello giudiziale acquistano una nuova luce se li si inquadra in un iter storico che comprende da una parte i concorsi precedenti, in particolare quello per 13 posti di I fascia del 1992-95, dall'altra i più recenti concorsi e le altre vicende che coinvolgono la disciplina.
Per quanto riguarda il primo, i commissari erano Alvisi, Bacarella, Crispolto Rossi, Scarpa e De Benedictis che contesta i risultati firmando una relazione di minoranza. (Di questa vicenda è arrivata anche eco sui giornali con un articolo di Marco Panara pubblicato sul quotidiano “La Repubblica”).
In particolare, nella relazione di minoranza viene criticata l'inclusione tra i vincitori di 7 candidati, tra cui Casini, che si ritroverà come commissario nel successivo concorso, assieme alla Carrà che pure è risultata ordinaria nello stesso concorso.
Vediamo un po’ meglio questo megaconcorso che può essere definito “dei figli”, l’ultimo megaconcorso per posti di II fascia prima della riforma, i cui risultati sono stati anche inizialmente bloccati presso il Cun per irregolarità nella verbalizzazione. Osservando da una parte la composizione della Commissione, dall'altra la rosa degli ammessi all'orale e dei vincitori, si può facilmente verificare la relazione tra gli esiti dei contestati concorsi precedenti (quello di prima fascia del 1994, contestato dalla relazione di minoranza del prof. De Benedictis, e quello di seconda fascia conclusosi nel 1992, contestato dal mio ricorso) - che prefigurano una Commissione particolarmente “subalterna” a decisioni precostituite - e la presenza di candidati “eccellenti”: 4 parenti stretti (3 figli e un fratello) di professori ordinari con una spiccata militanza nelle precedenti Commissioni giudicatrici nei concorsi per posti di II fascia della stessa disciplina dei loro stretti congiunti.
Vediamo dunque chi sono i commissari del concorso “dei figli”: si tratta di 5 ordinari (Simeti, Casini, Guariglia, Carrà e Tudisca) e di 4 associati (Cecchi, Marangon, Reho e Zarbà). Gli ultimi 4 sono tutti diventati associati nell’ultimo concorso, quello da me contestato, in cui erano in commissione Sturiale e Cupo.
Degli ordinari invece sia la Carrà, sia Casini, come si è detto, hanno ottenuto la qualifica attuale nel concorso contestato da De Benedictis, e in particolare la relazione di minoranza di quest’ultimo metteva in evidenza il suo dissenso sull’inclusione di Casini nella rosa dei vincitori, per una produzione scientifica che non appariva giustificare la fulminante carriera che, dopo essere divenuto associato nel concorso da me contestato, lo ha portato a soli 36 anni all’ordinariato, e gli ha anche consentito la partecipazione alla Commissione del “concorsone dei figli”.
Ancora rispetto alla Commissione, appare anche rimarcabile la presenza di Tudisca tra i commissari, visto che lo stesso ruolo aveva svolto nel concorso ad associato precedente.
Ma questa appare una prassi ben consolidata nell’ambito di questa disciplina, dato che anche il prof. Cassano ha ritenuto opportuno presenziare i lavori delle Commissioni per posti di II fascia sia del 1986, sia del 1992. Inoltre sia Tudisca, sia Guariglia sono stati promossi ordinari nel concorso in cui erano in commissione Schifani e Cupo.
Per concludere, riferendomi al prospetto in mio possesso che illustra i legami tra padri e figli negli ultimi concorsi del periodo precedente la riforma (che pubblichiamo in altro spazio del giornale, n.d.r.), non si può escludere, ovviamente, che nel 1998 i giovani figli dei professori Cupo, Schifani e Sturiale potessero avere anche delle qualità scientifiche che li rendessero meritevoli di divenire associati, ma certo la loro particolare posizione avrebbe richiesto una commissione al di sopra di ogni possibile sospetto di atteggiamenti clientelari e una rigida definizione dei criteri di valutazione capace di far emergere in modo comparativo la valenza di tutti i candidati.
Io mi fermo a parlare delle vicende che conosco meglio, ma il prof. Paris ha studiato in dettaglio tutto il periodo dei concorsi decentrati, che hanno portato in cattedra ben altri figli figliocci mogli e altri parenti - tra cui la figlia di Prestamburgo e la moglie di Tudisca, per restare ai nomi da lei citati.
Dato che si tratta di vicende già pubblicizzate, io mi limito a riferire solo delle vicende meno conosciute.

- 31 gennaio 2006: per lei un data da segnare sul calendario. Cos'è accaduto quel giorno?

- Quel giorno viene pubblicata la sentenza definitiva del Consiglio di Stato relativa alla mia causa. I giudici hanno confermato la sentenza del TAR del 1999, che già aveva eccepito l'irregolarità della Commissione.
Nella sentenza viene confermato che “nessuna variazione significativa è intervenuta nella composizione dei due raggruppamenti, per cui deve ritenersi sussistente la violazione dell’art. 44 del D.P.R. n. 382/1980, che sancisce il divieto di cristallizzazione dell’elettorato … Essendo stato confermato l’annullamento della nomina della Commissione di esame, a motivo della accertata incompatibilità del prof. Cassano, anche l’annullamento di tutti gli atti compiuti da questa Commissione, compreso il giudizio sui singoli candidati, deve essere confermato".

- Nonostante la sentenza favorevole del Consiglio di Stato però la sua strada è ancora in salita: la Direzione Generale per l'Università, cioè l'organismo pubblico che dovrebbe rendere esecutiva la sentenza, pare non abbia intenzione di procedere, come d'altra parte sembra faccia il Ministero con qualsiasi sentenza da qualsiasi Organismo emanata - Corte d'Appello, Corte di Cassazione, Tar, Consiglio di Stato - che richieda l'annullamento di un concorso.
Al di là della legittimità della determinazione, lei cosa pensa di questo scollamento tra Istituzioni?


- Ovviamente c’è una inerzia delle Istituzioni che cercano di non cambiare niente anche in presenza di sentenze esecutive.
In questo caso c’è un oggettivo problema, legato al fatto che annullare un concorso dopo 14 anni non è un giochino da ragazzi. Infatti il Ministero ha interpellato l’Avvocatura dello Stato per avere lumi su come comportarsi, perché il terremoto conseguente all’esecuzione della sentenza ha dei contorni non facilmente prevedibili, per le reazioni a catena che ne potrebbero derivare. D’altra parte il mio avvocato, che ha portato avanti questa causa con grande competenza e lungimiranza, sta impostando la richiesta di esecuzione della sentenza entro un termine perentorio.

- Crede che la nascita del nuovo Governo possa costituire il giusto stimolo alla soluzione del suo caso?

- Ovviamente lo spero fortemente.

- Dottoressa Eboli, che cosa si dovrebbe fare per garantire i diritti di tutte le "vittime", come lei, di questo sistema, diciamo così, di stritolamento accademico nazionale?

- Mi scusi, ma trovo difficile capire la sua domanda. Provo a rigirarla. Io penso che l’Università debba trovare la forza al suo interno di rimettere in agenda la questione morale. Non sarà facile, né mi pare di vederne le premesse. Ma non ci sono riforme procedurali che possano cambiare alcunché se non ci sarà una rigenerazione profonda che ridia la speranza di un cambiamento nelle logiche con cui il sistema si riproduce. Un Paese non può svilupparsi senza un forte investimento nell’educazione e nella ricerca; ma un sistema educativo che tollera al suo interno la malversazione e l’interesse privato non può garantire quella speranza senza la quale il paese muore.

Ha ragione, dottoressa: incomprensibile la domanda, incomprensibile soprattutto la necessità di doverla porre, in uno Stato di diritto.


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