giugno 2006 numero 54

attualità
Dal Canada con indignazione
I commenti dei lettori sul caso Patanè

nella foto: David Aliaga

Gentile Francesca Patanè,

mi fa tanto piacere sapere che "Ateneo Palermitano" sia nuovamente in linea. Era in gioco la libertà di stampa in Italia.
Sono molto preoccupato per il fatto che alcuni giornalisti italiani hanno scelto di starsene zitti e non la hanno difesa. Una democrazia è più forte quando la libertà di stampa è protetta dagli abusi del potere.

Le voglio raccontare che sono un cileno-canadese (e nipote di contadini italiani immigrati alla fine dell'Ottocento in Cile), che ha avuto la sfortuna di scegliere un'Università italiana per fare il suo Dottorato di ricerca.
Nessuno degli accademici o dei funzionari del Ministero coinvolti nella mia vicenda, ha fino adesso avuto l'onesta di riconoscere le proprie mancanze.
Il risultato è che a causa della loro incompetenza e mancato senso di responsabilita, ho perso tre anni della mia vita e messo in serio pericolo il futuro della mia giovane famiglia.

Le invio una lettera aperta che ho scritto recentemente al rettore dell'Università della Calabria.
Comunque, io ho la speranza che la nuova coalizione di governo possa definitivamente fare luce sulla mia vicenda, cosi come dare un nuovo indirizzo all'Università e la ricerca in Italia. E in futuro la rimonta o la decadenza del Belpaese!

Distinti Saluti.

David Aliaga

PS: Se lei vuole sapere di più sulla mia vicenda la prego di contattarmi, sarè molto lieto di raccontarle con più dettagli la mia triste "esperienza" con l'Università Italiana 

Lettera aperta di Davide Aliaga al rettore dell'Università della Calabria


Stimato Prof. Latorre,

quasi nove anni fa, nel 1997, ho scritto una lettera aperta al ministro delle Università italiane che denunciava il sistema universitario italiano per quello che realmente è: un sistema estremamente corrotto, non-etico e nepotistico.
Per quanto sappia, era la prima lettera aperta inviata ad un ministro dell'Università.
Gli scandali recenti hanno purtroppo riaffermato la mia credenza che il sistema accademico italiano non può curarsi da solo. D'altra parte, e sono sicuro siete informati, aumenta la pressione sia all'interno che all'esterno dell'Italia dai distinti colleghi le cui parole e azioni coraggiose, stanno cominciando ad avere i loro effetti. La barca ha cominciato ad oscillare e permette al mondo di conoscere qualcosa che tutti dovrebbero già conoscere: che l'Università italiana è soltanto un microcosmo, o peggio ancora uno specchio perfetto, della società e della cultura italiana odierna.
Il mio personale punto di vista, come antropologo, è che il sistema universitario italiano non apprezza la presenza degli stranieri che non giocano con le stesse regole del gioco, voglio dire: commissioni di concorsi manipolate, nepotismo, clientelismo, e plagiarismo.

Mi accorgo che, quella che do, è una immagine molto negativa, ma la conferma può essere avuta facilmente consultando i vari articoli e lettere nel giornale JUSTResponse, o semplicemente selezionando una combinazione delle parole chiavi "italiana","Università", "corruzione" e "mafia" ed inserirla in Google o in un altro motore di ricerca.
Questa situazione inoltre è stata registrata molto bene dalle pubblicazioni internazionali d'istruzione e formazione superiore come il Times di Londra, il Chronicle of Higher Education di Washington, e il Guardian di Manchester. Dovete soltanto consultare i loro archivi. Potrei aggiungere che non penso che stereotipi o idee discriminatorie facciano parte della mia descrizione della situazione, dato che sono d'origine italiana.

La mia lotta è cominciata dopo l'esperienza terribile che ho subito come allievo di un dottorato di ricerca all'Università degli Studi della Calabria tra il 1987 e il 1990; paragonabile nel suo proprio senso ai tre anni che avevo speso nelle prigioni e camere di tortura di Pinochet, per difendere e sostenere il governo di Salvador Allende.
Il mio tutore fu quasi completamente assente per tutto il mio periodo di tre anni di studio di dottorato. L'ho incontrato non più di tre o quattro volte in tutto e per un totale di circa 30 minuti.

Il giorno del mio esame, il 25 luglio 1991, dopo aver volato espressamente all'Italia dal Canada, l'intera Commissione esaminatrice non c'era. Quello mi è costato tre anni della mia vita ed ha compromesso il futuro della mia famiglia. Potete leggere una relazione completa nella mia intervista "Doctoral Torture".
Inoltre ho notato che i leader degli studenti italiani non avevano il coraggio di sfidare le strutture della corruzione e del nepotismo nelle loro Università, malgrado il fatto che percepissero ed ancora percepiscono, tutto questo in maniera molto chiara. Ho anche scritto che i Dipartimenti e le Università italiane succhiano la vitalità degli studenti e dei ricercatori ed anche i soldi dalle tasche dei contribuenti e li ho paragonati ai vampiri.

Così non c'è dubbio che la vostra università è piena di comportamenti non etici e priva di standards democratici e moderni di giustizia. Un esempio rilevante di comportamento poco etico e disonesto del sistema, è stato la creazione di una Commissione ad-hoc per studiare il mio caso dal Consiglio Universitario Nazionale (Cun), che fu ordinata dall' allora ministro delle Università.
È risultato che il compito reale di quella Commissione fu il tentativo d'insabbiare la mia vicenda e così spegnere il clamore di giustizia in mio favore da rispettate Organizzazioni accademiche internazionali, noti accademici, politici, il Vescovo di Calgary e i vari mezzi di comunicazione.

Vorrei citare in questa lettera aperta a lei le parole scritte da F.B. Henry, Vescovo di Calgary, in una lettera al professore Ortensio Zecchino, allora ministro della Ricerca e dell'Università: "Come ex rettore e preside della Facoltà di Teologia del St. Peter's Seminary (King's College) e dell'Università del Western Ontario, sono informato abbastanza bene sui dovuti processi nelle pratiche accademiche.
Per ciò, e grazie alla mia esperienza, sono rimasto attonito per l'evidente numero di irregolarità nell'iter accademico che il signor Aliaga ha dovuto subire, la mancanza di trasparenza e responsabilità dei funzionari, e l'assenza di risposte e/o riconoscimenti alla sua richiesta dell'elenco completo dei corsi e voti ottenuti nel suo lavoro accademico gia completato. Questa situazione è senz' altro un attentato alla coscienza".

È già una battaglia in salita il provare ad elevare l'immagine che canadesi e americani hanno degli italiani, questo dovuto a vecchi stereotipi e discriminazioni che non muoiono mai, senza anche dover spiegare il comportamento corrotto e non etico di alcuni dei miei colleghi italiani.

So che ci sono molti colleghi in Italia che stanno facendo il meglio che possono sotto un sistema che ricompensa la corruzione e i comportamenti non etici.
Chiedo loro di fare di tutto per fermare questo triste stato di cose, questo lo chiedo in nome dei loro propri figli e il futuro dell'Università italiana.

Come un critico accademico degli Stati Uniti ha detto, se la corruzione in Italia deve essere trascinata a calci e buttata via dall'undicesimo secolo nel ventunesimo, e se fare così, vuol dire trascinare gli accademici italiani testardi ed egoisti all'aperto, allora che così sia.

Caro collega e rettore dell'Università degli Studi della Calabria: voglio formalmente invitarla nella veste che Lei ha di rettore dell'Università in cui ho studiato per il mio dottorato, affinché intraprenda un' azione immediata e vigorosa per rettificare questo triste stato di cose, per contribuire a trasformare l'Università italiana in un'Istituzione moderna e democratica.

David Aliaga
Calgary, Canada


Piccoli nani impilati

Stimatissimo Dottor Aliaga,

sono onorata che Lei abbia ritenuto opportuno parlarmi del Suo caso: mi dimostra, in questo modo, di considerare "Ateneo Palermitano" un vero spazio di libertà "incondizionata" e di dibattito utile ad aggiungere - questa è almeno la mia speranza - un altro piccolo tassello alla soluzione della vicenda che da anni ormai La vede involontario protagonista.

La battaglia per la difesa dei diritti e per l'affermazione della giustizia non è mai facile, specie in Italia.
Chi decide di combattere, come Lei, come me, e come tanti altri che hanno scelto di ribellarsi al "sistema", sa già di dover affrontare difficoltà e rischi, ma sa anche che non scenderà mai ad alcun compromesso, avendo alle proprie spalle la forza della libertà.
E sa che combattere lealmente non significherà necessariamente vincere, specie se a combattere sarà solo.
E' per questo che contro la malauniversità nazionale occorre mettersi insieme, "coalizzarsi": dopo tutto, il gigante della storia è fatto di tanti piccoli nani impilati.
Sarà questo un primo passo verso la legalità? Il nostro dovere civile e morale è quello di crederci.

Per quanto mi riguarda sono qui, e continuerò a mettere a disposizione le pagine del mio giornale per contribuire al risanamento di un mondo accademico italiano sempre più malato.

Tocca a voi, tocca ai lettori, alimentarle per renderle davvero utili alla causa.

Grazie dell'intervento e della solidarietà.

f. p.


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