diretto da Francesca Patanè

giugno 2006 numero 54

Woodcock e la matematica

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di Francesca Patanè

Mi piacerebbe sapere che cosa avete pensato nel leggere le cronache di questi ultimi giorni, quelle che, di intercettazioni in intercettazioni, ci stanno mostrando tutta la melma in cui l'Italia, grazie a certi tomi - del calcio, della politica, della finanza, delle banche, persino del Regno che non c'è - sguazza e rischia di sprofondare.
Mi piacerebbe sapere che cosa, in particolare, hanno pensato tutti coloro che in qualsiasi ruolo e a qualsiasi titolo vivono, o sopravvivono, nel mondo accademico italiano.
Davvero sarei curiosa di sapere quanti hanno segretamente pensato "forza Woodcock" e quanti hanno maledetto persino l'esistenza, per non dire la tracotanza, di un povero e reietto Pubblico Ministero di periferia, di una periferia del Sud, poi (che orrore! il Sud che si ribella! ma com'è che gira quest'Italia?) che si permette di mettere il naso, meglio ancora le orecchie, nei vizi privati e pubbliche virtù degli italiani che contano (ma solo in un certo senso).

Non è curiosità, la mia, è voglia di calcolo.
In questi ultimi tempi ho scoperto che i numeri contano almeno quanto le parole. Anzi, che i numeri parlano. Basta saperli capire.
Ora per la verità io qualche lacuna in fatto di numeri ce l'ho e non l'ho mai nascosta, ma un paio di amici che sanno di statistiche e percentuali posso sempre trovarli e allora sarebbe facile comprendere il dato.

Mi spiego meglio. Se due più due fa quattro e quattro più quattro fa otto e se, mettiamo, da dieci sottraiamo tre ottenendo incontestabilmente sette, facendo questi rapidi calcoli in ogni Ateneo del Paese sapete che potremmo ottenere?
Il rinnovamento dell'Università italiana.

Ricomincio dalle intercettazioni, così capite meglio.
Quando ho letto del Savoiardo panciuto e porcellino e di quell'altro tizio, tal Sottile (non certo di stazza, forse di cervello) che se la spassava con le divette della spazzatura (parlo della tv) io ho pensato che quel gran pezzo di Woodcock (be', insomma, gli occhi ce l'ho pure io) con diavolerie tecnologiche da 007 Missione Golfinger è riuscito a stendere la rispettabilità apparente di certa apparentemente rispettabile società. Giusto. Sacrosanto. Ne ha il diritto, anzi il dovere. Chi fa, diventa scomodo: è un classico, nell'Italietta di oggi.

Io qui non voglio entrare nel merito dell'uso più o meno indiscriminato delle intercettazioni, non mi interessa.
Dico solo che chi ha a disposizione uno strumento è bene che lo usi. Il giustizialismo non paga, ma nemmeno il garantismo ad ogni costo fa un buon servizio alla rispettabilità di un popolo.

Certo, è facile lasciarsi prendere la mano, ma sta alla maturità professionale del giudice non esagerare.
Quanto alla fuga di intercettazioni e allo stritolamento mediatico, per favore, andate a monte a cercare le responsabilità e non date la colpa a chi fa solo il proprio dovere: i giornalisti non hanno la conoscenza infusa e se scriviamo di qualcosa è perché qualcuno, prove e documenti alla mano, ce l'ha raccontato.

Ma non divaghiamo. Quando ho letto di queste ennesime cronachette italiane ho pensato: perché non c'è un Woodcock (o un Borrelli o un Di Pietro o un altro nome qualsiasi) anche per le Università italiane? Perché, dal momento che nessun aspetto della vita civile e istituzionale del Paese ormai è esente da sistemi spionistici di tal fatta, non si intercettano anche le conversazioni telefoniche (da cellulari, fisso casa, fisso ufficio e fisso casavacanze) di tutta la docenza accademica italiana? (qualcuno provi a querelarmi, così la scrematura degli "intercettabili" si può già fare a monte).
Potrebbe essere un buon punto di partenza per quel rinnovamento cui accennavo prima.
Le cronache, d'altra parte, da anni ormai ci danno notizia di casi più o meno incredibili, più o meno sfacciati, più o meno esilaranti, persino, di malauniversità nazionale: io stessa tra le mie carte ho un dossier che non finisce più.
Perché solo gli Atenei dovrebbero essere esclusi da questa prassi da Grande Fratello legalizzato?

In effetti, ragioniamoci, è strano che - nonostante si strombazzi da più parti che nessun ambito disciplinare di nessun Ateneo italiano sia del tutto esente da gestioni finalizzate all'interesse personale - il sistema, criticato ma collaudato, delle intercettazioni telefoniche non abbia ancora trovato applicazione nel mondo accademico nazionale (ma chissà che mentre scriviamo...Sperem).
Il motivo potrebbe trovarsi in quella sorta di sudditanza psicologica (inconscia) dei giudici nei confronti dei professori universitari.
In fondo ogni giudice origina da una Facoltà di Giurisprudenza, è legato ai propri docenti da anni di frequentazioni, nel bene e nel male, pur spesso criticandoli nelle vesti di studente, e non c'è niente da fare, l'abitudine, a vedersi, a parlarsi, se va bene a condividere progetti e passioni, porta a "innamorarsi" dei propri professori, oppure, se va male, a temerli.
Porta comunque a considerare la propria Facoltà, e per estensione l'Ateneo, il mondo accademico, quasi una zona franca, una zona intoccabile dove per anni si è abituati a "vivere" un poco come a casa... Vogliamo davvero trovare un qualsiasi giudice disposto a mettere in discussione la propria "casa", i propri "tutor", coloro che l'hanno fatto diventare quello che è oggi?
Io non so se sia effettivamente così, ma è comunque, questa, una chiave di lettura tra le tante possibili.

E ora torniamo al conticino matematico cui ho accennato all'inizio.
Esclusa - e facciamo un discorso di massima, naturalmente - quella parte di docenti accademici nazionali, pure quantificabile (anche se in via ipotetica), che con onestà di intenti e senza motivi di opportunismo personali, disapprova il sistema delle intercettazioni telefoniche spinta da argomentazioni diverse - linea di principio, dignità, tutela della privacy, ecc. - quali motivi potrebbero avere, secondo voi, tutti quei docenti che si dovessero opporre con veemenza alla prospettiva delle intercettazioni telefoniche accademiche? Che non condividessero con chi invece l'approva e anzi la auspica fortemente (tutte le vittime del sistema, i trombati nei concorsi farsa, i bocciati per partito preso da commissioni manipolate per il bene di amici e parenti, o tutta la gente comune che si è rotta le scatole delle prepotenze mafiose di certe lobby accademiche), che non condividessero, dicevo, la recente soluzione woodcockiana, drastica e impopolare quanto si vuole, ma che è riuscita a mettere ko tutti gli italici furbetti abituati a spadroneggiare nei loro orticelli di potere alle spalle (e a spese) di tutto il resto del mondo che sta fuori (e che conta per loro quanto il due di coppe a briscola)?
Insomma, chi sarebbero i favorevoli e chi i contrari? O meglio - e qui chiamo a raccolta i miei amici matematici - "quanti" sarebbero per il sì e "quanti" per il no?
Se io, mettiamo, sono pura come mamma m'ha fatto, che paura potrei avere di essere intercettata? E tutti i docenti che si dovessero schierare contro, se anche loro sono puri come mamma li ha fatti, che paura potrebbero avere di essere intercettati?

Perciò, se - per ipotesi semplificata - su mille docenti (quanti sono i docenti in Italia? in questo momento mi manca il dato) ne togliamo per esempio duecento (sparo numeri a caso, ma è il principio che conta) e cioè gli "onestamente" contrari (comunque una minoranza, probabilmente, rispetto al numero complessivo) e poi verifichiamo che, degli ottocento rimasti, trecento (voglio essere ottimista) sono favorevoli alle intercettazioni accademiche e cinquecento contrari, buttando a mare questi cinquecento non ripuliremmo tutta l'Università italiana?

E' chiaro che non sono improvvisamente impazzita e che tutto quello che ho scritto sopra è mera follia (mera... mi pare di averlo già letto da qualche parte quest'aggettivo...), ma ho voluto stirare fino a questo punto il concetto - che alla base però non è sbagliato, rifletteteci - perché è nel paradosso che possono più facilmente intendersi certe considerazioni.

C'era un thriller, anni fa, "Il terrore corre sul filo": la storia di una donna che intercetta una conversazione telefonica da cui scopre che il marito, l'attore Burt Lancaster - un bello dell'epoca - vuole ucciderla (non vi racconto come va a finire, trovatevi la videocassetta in cineteca).

Le intercettazioni hanno sempre fatto bene all'umanità, non a tutta, ma a una buona parte: l'altra parte è meglio lasciarla a Lancaster.


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