diretto da Francesca Patanè

ottobre 2006 numero 58

Dei deliri e delle pene

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di Francesca Patanè

L'editoriale dello scorso numero ha suscitato in un lettore, che l'ha definito un "delirio", risentimenti di cui prendo atto, ma che non comprendo.

Occorre distinguere la forma dalla sostanza.

La forma, consapevolmente "estrema", poteva irritare, condivido. Ma al di là dell'immediata rabbia per l'accaduto, oggi "rielaborata" (e unica cosa di cui chiedo venia), vorrei spiegare all'anonimo lettore che l'esagerazione stilistica - indisponente per scelta e fortemente provocatoria - era finalizzata a una più immediata percezione della gravità del fatto da parte di tutti i lettori.

Personalmente ritengo l'autore di telefonate anonime minatorie non meritevole di alcun riguardo formale e mi spiace dover pensare che per qualcuno non sia così.

Non posso condividere invece un risentimento dettato dalla sostanza, ovvero dai contenuti di quanto ho scritto.

L'atteggiamento di chi si indigna non per l'azione delittuosa (chiamiamo le cose con il loro nome, ora non gioco più), ma per l'attacco della stampa al responsabile di quelle minacce anonime, è un brutto segno.
E' una prova inconfutabile che c'è ancora tanto da fare per educare questo Paese alla legalità.

Tranquillizzo l'anonimo lettore sulle mie manie di onnipotenza (oltre che sui miei deliri): non ne ho.
Perciò - meglio esplicitarlo - non sarò io a pretendere di cambiare il mondo (ma per quel che mi pare di capire non ne ha le caratteristiche nemmeno lui).

Sarebbe necessario però in questo mondo cosiddetto "civile" che qualcuno se ne cominciasse seriamente a fare carico.
Perché io sarò stata delirante, ma - e giustifico il titolo - è veramente penoso leggere rimostranze come quelle avanzate dall'anonimo lettore.

A cui a margine vorrei ricordare che, contrariamente a lui, io sottoscrivo sempre i miei "deliri", non li firmo con assurdi nomignoli paravento.

E, tanto per restare in tema di precisazioni, il fatto che a manifestare indignazione sia stato un unico lettore (qualcun altro - bontà sua - ha definito quant'ho scritto "eccezionale") mi autorizza a un ragionevole dubbio: che la tentazione di giudicare un delirio quell'editoriale sia stata interamente del suo destinatario, quel caro deficiente, appunto...

Voi che ne dite?


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