maggio 2007 numero 65

attualità
Bocciate dalla Corte dei Conti le lauree triennali di Mussi
A rischio per la magistratura contabile l’autonomia degli Atenei

di  f. p.

nella foto: Un’Aula della Corte dei Conti di Roma

Sotto la lente d’ingrandimento della Corte dei Conti la riforma delle lauree triennali del ministro del Mur Fabio Mussi. In particolare, il numero massimo di esami per poter conseguire la laurea - venti per la triennale e dodici per la magistrale, secondo i nuovi provvedimenti attuativi del DM 270/2004 - e il riconoscimento dei crediti degli studenti che si trasferiscono da un’Università a un’altra, con garanzia di conservazione di almeno il 50% di quelli già conseguiti.

Fissare a priori e in modo omogeneo per tutti gli Atenei un limite al numero di esami da sostenere per il conseguimento della laurea è – secondo la Corte dei Conti – un attentato all’autonomia didattica di ciascuna struttura universitaria. Vero è che occorre “evitare la parcellizzazione dell’attività formativa”, ma “ogni Università – dicono i magistrati - dovrebbe poter scegliere il modello didattico da offrire agli studenti”.
Inoltre, uniformare il limite di esami a tutte le classi significherebbe, per la magistratura contabile, “non tenere conto delle differenze esistenti fra le diverse classi di studio e fra gli ordinamenti del triennio e del biennio”. Tanto più che tale determinazione ministeriale - sempre secondo i magistrati della Corte – potrebbe contrastare con alcune direttive dell’ Unione Europea.

L’altro provvedimento ministeriale che ha fatto arricciare il naso alla Corte dei Conti è l’obbligo del riconoscimento di almeno la metà dei crediti già acquisiti nel caso di trasferimenti degli studenti da un Ateneo a un altro. Tale imposizione da parte del Ministero, infatti, dicono i magistrati della Corte, “sembra contrastare con la previsione del DM 509/99 e del DM 207/2004 concernenti entrambi l’autonomia didattica”, autonomia che attribuisce alle sole Università valutazione e riconoscimento del lavoro svolto fino a quel momento dallo studente in procinto di trasferirsi ad altra struttura accademica.

Fin qui la cronaca.

Il problema del riconoscimento dei crediti, però, ci induce ad alcune riflessioni. Anzi, ci convince a condividere ciò che altri hanno scritto prima di noi: “La matematica è un’opinione”. Perché, quando si parla di riforma didattica universitaria - che ha stravolto la fisionomia dei vecchi corsi quadriennali e quinquennali - 3 + 2 non fa 5, ma fa almeno 6.
Questo perché nel passaggio dal corso triennale di primo livello al biennio di specializzazione spesso accade che non vengano riconosciuti tutti i 180 crediti formativi acquisiti dallo studente nei primi tre anni. E ciò non succede solo nel caso in cui lo studente decida di cambiare area di interesse – cosa che in un certo senso giustificherebbe il mancato riconoscimento di tutti i crediti – ma, quel che è peggio (irrazionale, incomprensibile e dannoso per lo studente), accade, quasi sistematicamente, anche quando il povero studente sia un laureato di primo livello intenzionato a proseguire e a specializzarsi nel proprio campo, e dunque nello stesso corso di laurea, ma – e qui ci riallacciamo al provvedimento ministeriale e alle argomentazioni della Corte dei Conti - in un altro Ateneo.

Così accade che – gli esempi sono reali – un laureato di primo livello che ha studiato Ingegneria ambientale in Sicilia, trasferendosi al Politecnico di Milano per conseguire la laurea specialistica in Ingegneria ambientale non si veda riconosciuto quasi l’intero terzo anno di studi.
E un altro, laureato di primo livello allo Iulm di Milano in Scienze e Tecnologie della Comunicazione, non solo è costretto a cambiare Facoltà perché le politiche degli Atenei sono ballerine e per ragioni di convenienze di "mercato" possono decidere "in corso d’opera” di chiudere i bienni di specializzazione più direttamente collegati ai corsi già attivi del triennio di primo livello senza garantire un processo “ad esaurimento”, e sconvolgendo in tal modo tutti i piani didattici e i programmi di vita dei malcapitati studenti, ma - se vuole proseguire gli studi con il biennio di specializzazione - deve catapultarsi in una nuova realtà accademica – e questo è un primo handicap – con il suo bagaglio di crediti acquisiti di cui sa già che – e questo è il secondo gravissimo handicap - in buona parte, non potrà usufruire.

Ora è chiaro che, se uno studente ottiene un titolo, il minimo che possa aspettarsi è che questo titolo venga riconosciuto su tutto il territorio nazionale.
Ma autonomia vuole che non sia così; anzi, cattiva interpretazione dell’autonomia vuole che non sia così.

In effetti, l'introduzione dell'autonomia didattica universitaria ha favorito un'ampia diversificazione dell'offerta formativa (esagerata, ma questo è un altro discorso), ma ha anche consentito, purtroppo, una eccessiva discrezionalità - e arbitrarietà - nella valutazione finalizzata alla conferma dei crediti formativi da parte degli Atenei.
Se sul piatto della bilancia mettiamo tutto questo, le preoccupazioni della Corte dei Conti in materia di garanzia dell’autonomia delle Università sull’altro piatto della bilancia peseranno sicuramente molto meno,.

Non siamo contrari all’autonomia universitaria, siamo contrari all’anarchia universitaria, non riusciamo a comprendere la ratio di provvedimenti - legati troppo all’astratto ragionamento filosofico e troppo poco alla concretezza e all’esperienza “spicciola” di tutti gli studenti universitari italiani - che non ritengono necessario, pur salvaguardando l’autonomia di ciascun Ateneo, stabilire identici criteri di giudizio per salvaguardare anche, dall’altro lato, il percorso di studi (e il bagaglio di crediti formativi a rischio di inutilità) degli studenti.
L’obbligo del riconoscimento di almeno il 50% dei crediti imposto dal ministro Mussi nel caso di trasferimento degli studenti da una Università a un’altra, fa storcere il naso pure a noi, ma per il motivo opposto a quello dei magistrati della Corte dei Conti.
Il 50% è troppo e lede l’autonomia universitaria? (ma, allora anche lo 0,0000001% per un fatto di principio lo sarebbe). Noi diciamo che il 50% è troppo poco, ed è davvero assurdo che la garanzia di riconoscimento dei crediti non sia totale. Perché si può essere autonomi pur condividendo, almeno per certi specifici temi, criteri comuni che mettano al riparo dalla discrezionalità (e dall’arbitrarietà) di valutazione di ciascun Ateneo.

A garanzia di tutti quegli studenti italiani (di fatto discriminati rispetto agli altri) che di certe determinazioni che piovono dall’alto sulle loro teste subiscono più direttamente le conseguenze, e che, nella fattispecie, sono costretti al fuori programma di un anno in più, quando va bene, rispetto agli anni di studio imposti dalla riforma.
Per questo nelle Università italiane 3 + 2 non fa 5, ma fa almeno 6.

La matematica è un’opinione.


 


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