giugno 2007 numero 66

attualità
Malauniversità e dintorni: i consigli di un prefetto un po’… speciale (seconda parte)

 

nella foto: La sede della Prefettura di Padova

segue dalla pagina precedente

Parliamo di malauniversità, uno dei temi ricorrenti del nostro giornale. Nonostante le denunce, i ricorsi, le proteste, le dichiarazioni ufficiali e i tentativi, reali o di facciata, di cambiare le norme, c’è sempre, ed è ben radicata. Secondo lei dove si blocca il rinnovamento, per usare una parola che le sta particolarmente a cuore?

- Il tema della malauniversità l’ho recepito dalle inchieste giornalistiche, dai fatti inquietanti esposti in tanti siti internet e giornali elettronici, come questo suo “Ateneo Palermitano”. Nel corso della mia attività ho avuto modo di constatare un elevato, a volte eccellente livello d’organizzazione amministrativa e scientifica degli Atenei. Esistono però casi di gestioni non inappuntabili che gettano discredito sull’Università italiana nel suo complesso, danneggiando gli Atenei virtuosi.

- Eppure la politica attuale è quelle di aprirne sempre di nuovi, Atenei, piuttosto che di chiudere quelli che meriterebbero di essere chiusi…

- A mio avviso, è negativo il moltiplicarsi incontrollato di nuove sedi e di pseudo-Centri d’eccellenza, sorti più che altro per spinte politiche locali. Questa proliferazione assorbe e disperde risorse ingenti, che più utilmente potrebbero sovvenzionare la ricerca in Atenei veramente qualificati, con ‘scuole’ prestigiose e una produzione scientifica di alto livello. Invece si preferisce investire in cattedrali nel deserto, spesso prive delle strutture indispensabili a un corretto funzionamento. Tralascio gli esempi, perché si tratta di fatti noti; un’ampia documentazione è del resto reperibile nei siti specializzati. Sono poi di dominio pubblico gli interventi della Magistratura, dei quali attendiamo l’epilogo, per irregolarità concorsuali.

- Chi subisce la malauniversità spesso lamenta di essere solo e abbandonato dalle Istituzioni. Se una delle tante vittime si rivolgesse al prefetto, che cosa otterrebbe?

- Senza dubbio otterrebbe solidarietà e un intervento volto ad esporre l’eventuale problema all’Amministrazione locale o centrale competente. Per raggiungere un risultato concreto è però necessario rivolgersi, prove alla mano, alla Magistratura ordinaria. Se si lamentano irregolarità contabili, si può ricorrere alla Corte dei Conti, mentre in caso di violazioni amministrative esiste la possibilità di ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale competente per territorio.

-  L’Università italiana è sull’orlo del fallimento culturale e morale. Di chi è la colpa, secondo lei?

- Nel discorso, tutt’altro che formale, che ho pronunciato il 2 giugno, in occasione della festa della Repubblica, ho rivolto un appunto anche ai mass-media che spesso esagerano talune situazioni, soprattutto in tema di sicurezza. Proprio perché cerco di essere obiettivo, mi sembra che la sua affermazione, in parte fondata, pecchi di eccessivo catastrofismo. Esistono situazioni, l’abbiamo ricordato, che non fanno certo onore al mondo accademico, e ritengo che la proliferazione indiscriminata e clientelare di sedi universitarie - anche telematiche - cui accennavo prima sia un freno al risanamento. Ma esistono ancora Facoltà dove si fa buona didattica e ricerca di qualità elevata. La colpa della malauniversità non è ascrivibile soltanto a una parte.
Hanno responsabilità i politici, che dovrebbero attuare riforme volte a garantire efficienza e trasparenza nella gestione degli Atenei e soprattutto dei concorsi; a privilegiare la ricerca avanzata, anziché erogare finanziamenti a pioggia tanto onerosi quanto inutili; a promuovere una reale integrazione col mondo del lavoro, anziché la creazione di Enti superflui per accontentare il proprio elettorato.
Hanno responsabilità i docenti, che privilegiano, nelle selezioni, chi fa parte di una determinata cerchia “baronale” e non chi vale di più dal punto di vista scientifico, per non parlare della piaga vergognosa del nepotismo.
Hanno responsabilità coloro che amministrano gli Atenei all’insegna della demagogia e del clientelismo, mentre il rigore sarebbe doveroso in tempi di ristrettezze finanziarie come quelli che stiamo vivendo. Purtroppo credo che anche nel degrado universitario, e soprattutto nel crollo di tensione morale cui sempre più spesso si assiste, non soltanto in ambiente accademico, abbia avuto un ruolo importante il senso d’impunità. Gli scandali esplodono spesso, ma alla fine ben pochi pagano.

-  E’ questo senso di sconfitta che, catastrofismo a parte, fa parlare i giornali di fallimento… Senta, lei sul sito ricorda che i prefetti sono i rappresentanti dello Stato in periferia. Un compito sempre più difficile in una società globalizzata dove uno dei problemi più pressanti con il quale dover fare quotidianamente i conti in ogni città d’Italia, al Nord come al Sud, è quello della sicurezza. Com’è fare il prefetto, oggi?

- Il prefetto è un Organo periferico dell'Amministrazione statale con competenza generale e funzioni di rappresentanza governativa a livello provinciale. Il nostro lavoro si esplica in ambiti diversi, dal socio-economico - per esempio attraverso il monitoraggio delle situazioni di disagio sociale - a quello della sicurezza e dell’ordine pubblico, a quello istituzionale, quale riferimento in periferia per gli altri uffici statali periferici, le autonomie locali, le altre Istituzioni pubbliche e private. Ai prefetti sono attribuite anche funzioni amministrative che spaziano da una sempre più ampia attività paragiurisdizionale - definizione di ricorsi sulle contravvenzioni depenalizzate - a competenze specifiche in materia di cittadinanza, anagrafe, stato civile, riconoscimento di persone giuridiche, espropriazioni, polizia amministrativa. Agli Uffici territoriali del Governo è stata infine affidata l’organizzazione degli Sportelli unici per tutte le pratiche relative all’immigrazione.

- Però, al di là di tutti questi incarichi, è alla sicurezza che la gente comune in genere associa la figura del prefetto…

- Come lei ha giustamente rilevato, oggi uno dei problemi più sentiti è quello della sicurezza, non soltanto concepita come ordine e sicurezza pubblica, ma anche come sicurezza nei luoghi di lavoro, nelle abitazioni, nelle scuole, nelle strade. Oggi la missione del prefetto è sempre più difficile: spesso siamo chiamati a prendere da soli decisioni delicate di cui rispondiamo personalmente. Ma proprio questo è il lato più stimolante del nostro ruolo, in una società nella quale l’onore e l’onere della responsabilità sembrano scomparsi.

- Metta da parte il ruolo istituzionale ora, e ci risponda con l’anticonformismo che caratterizza il suo sito: gli Atenei italiani, secondo lei, sono destinati all’autodistruzione? Se sì, che cosa consiglia ai loro vertici politici e amministrativi per interrompere il countdown?

- Non sono in grado di dare suggerimenti specifici ai tanti esperti di questioni universitarie. Ritengo opportuno però ricordare un principio fondamentale: la quantità va sempre a scapito della qualità, la moneta cattiva scaccia quella buona. Comincerei col porre un argine alla moltiplicazione degli Atenei, alla proliferazione degli insegnamenti, spesso di scarso rilievo, sorti per i motivi più disparati. E soprattutto si dovrebbe trovare il sistema per eliminare dal reclutamento tutto ciò che è estraneo al valore scientifico. Solo così si potrà risalire verso livelli degni della nostra appartenenza al consesso europeo.

- Dottor Padoin, da un lato ci sono gli Atenei che lamentano carenze e tagli di fondi, dall’altro ci sono gli sprechi di certe Istituzioni accademiche tutto fumo e poco arrosto, il buco di milioni nei bilanci, deficit che superano anche tre manovre finanziarie. E in mezzo c’è chi, come lei, “commenta inorridito” e parla di “malinteso senso dell’autonomia”. Lei però, come tutti i suoi colleghi, ha l’arma in più del ruolo istituzionale.
Che cosa potrebbe fare, in concreto, il prefetto di ciascuna città d’Italia per contribuire a risollevare le sorti dell’Università italiana?

- Ho parlato di malinteso senso dell’autonomia perché è troppo comodo decidere senza alcun vincolo sui principali aspetti della vita accademica, scaricando poi le conseguenze economiche delle decisioni sul Ministero, e quindi sulla collettività. Non è concepibile un’autonomia amministrativa svincolata dal reperimento di risorse sufficienti a garantire, almeno in gran parte, il corretto funzionamento dell’Ateneo.
Anche in ambito universitario le regole di una corretta gestione imporrebbero di evitare spese non sostenibili, ampliamenti dissennati dell’Organico, investimenti edilizi tali da compromettere i bilanci per decenni. In tal caso il C.d.A. dell’Università dovrebbe segnalare le criticità finanziarie alla Corte dei Conti, così com’è avvenuto recentemente a Genova, ma non in altre Università molto più indebitate.
I prefetti, cui spetta la responsabilità d’intervenire in caso di gravi problemi delle altre Amministrazioni, dovrebbero a mio avviso attivarsi per segnalare sia esigenze giustificate, sia macroscopiche disfunzioni o carenze, in modo da consentire alle Autorità centrali di adottare gli opportuni provvedimenti.
È vero che, nel caso delle Università, siamo in presenza di Istituzioni autonome; ma ciò vale anche per le Amministrazioni comunali, che pure possono essere commissariate in caso di bilanci fallimentari.
Ritengo, pertanto, che analoghi interventi possano essere disposti, da parte del Ministero competente, nei confronti degli Atenei dove il dissesto finanziario raggiunga livelli intollerabili.


Commissariare gli Atenei dissestati?... Che forza, ’sto Padoin!



Francesca Patanè

torna alla pagina precedente


argomenti correlati:



Torna al sommario..........



Hai un argomento da proporre?  Entra nel forum di Ateneo palermitano e avvia il dibattito con gli altri navigatori
.............................. entra



Oppure scrivi una e-mail
al Direttore
............................. scrivi

© Ateneo palermitano - tutti i diritti riservati