diretto da Francesca Patanè

gennaio 2008 numero 73

Errare humanum est, sed perseverare…


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di Francesca Patanè

Io non ce l’ho coi sessantasette docenti che hanno contestato l’invito al papa da parte del rettore della Sapienza di Roma; non ce l’ho con gli studenti, né con quelli che li hanno appoggiati, né con quelli che li hanno contestati; non ce l’ho coi politici, che ne hanno fatto, com’era prevedibile, la strumentalizzazione del giorno; non ce l’ho col papa, che anzi declinando a bocce calde l’invito ha dimostrato grande equilibrio e senso di responsabilità.

Io ce l’ho con il rettore dell’Ateneo Renato Guarini; con il suo davvero limitato senso dell’opportunità, con la sua ostinazione a volere ciò che da tempo sapeva avrebbe suscitato più d’una polemica (esattamente da novembre scorso, quando i docenti contrari gli avevano chiesto per iscritto di annullare l’invito); con la sua lungimiranza, che non va oltre il suo naso; con la sua mania di onnipotenza, condivisa con la maggior parte dei suoi colleghi rettori, che gli fa credere giusto tutto quello che pensa e che fa, e sbagliato tutto il resto.

Dunque in questo recentissimo fatto di comica italiana (non cronaca, avete letto bene), che ci ha fatto tornare agli onori (e alla gogna) dell’informazione internazionale dopo l’immondizia di Napoli e la love-political-story Lonardo-Mastella, io - l’avrete capito – non sto dalla parte del rettore Guarini, né da quella della maggior parte degli italiani che hanno gridato allo scandalo giudicando atei, intolleranti, anticlericali, manichei, mangiapreti, fanatici e illiberali quei pochi che in quest’Italietta omologata e globalizzata hanno osato schierarsi dalla parte dei professori “ribelli”. E per questo non mi sento né atea, né intollerante, né anticlericale, né manichea, né mangiapreti, né fanatica, né illiberale.
Impopolare, forse, ma questo rientra ormai da anni tra le “variabili indipendenti” della mia vita professionale (indipendenti dalla mia volontà, voglio dire) e non ha mai spostato nemmeno di una virgola alcuna delle mie argomentazioni.

In realtà io non ne faccio una questione di schieramenti e non conosco nemmeno interamente le motivazioni dei docenti che si sono opposti all’invito: non avendo intenzione di “votare” per loro, non mi interessa nemmeno di conoscerle tutte. Certo, alcune posso immaginarle – sono le stesse mie – ma non voglio rischiare di avallare le tesi di chi potrebbe provare a fare, di una questione esclusivamente etico-deontologica, una problema religioso, o peggio, politico.
Perché quello che è successo a Roma non ha niente a che fare né con la politica, né con la religione.

Uno studente dell’Università di Palermo ha scritto al quotidiano locale dicendosi scandalizzato del comportamento dei suoi colleghi romani: “Credevo che l’Università fosse il luogo dell’universalità dei saperi – dice la lettera - … del confronto tra i saperi… che la chiesa vada esclusa dal moderno dibattito culturale è… un’eresia”.
Ecco, è qui che sta il nocciolo della questione, o l’equivoco, se volete: proprio perché l’Università è il luogo dell’ “universalità” non può consentirsi di aprire ufficialmente un anno accademico con ospiti (laici o religiosi, è lo stesso) che rivestono ruoli ufficiali appartenenti a schieramenti di qualsiasi tipo. Se lo fa, deve garantire la presenza contemporanea di altri ospiti che rivestono ruoli uguali e contrari. Proprio per assicurare quel “confronto” auspicato dallo studente palermitano.

Sinceramente non credo che Guarini, per assicurarsi un’indimenticabile giornata, abbia esteso l’invito anche al patriarca di Costantinopoli, o al mufti di Gerusalemme, o un hayatolla islamico (so che è impensabile tutto questo, ma chiarisce il concetto).
Ha invitato solo il papa Ratzinger e non – questo è stato l’errore più grave – come uomo di cultura, sulle orme dell’Università di Ratisbona, dove il papa era stato invitato e ha parlato nella veste di ex professore, ma nella sua qualità di vescovo di Roma, dunque proprio nel ruolo ufficiale che riveste come massima espressione della religione cattolica.
E questo in un’Università “libera”, e dunque “universale”, non si fa.

In linea di principio, quindi, non è neanche un problema di laicità, che tuttavia deve essere sempre garantita e intorno alla quale è bene che non sorgano equivoci in un ambiente come quello della conoscenza - e dell’educazione alla conoscenza – che deve assolutamente restare autonomo e svincolato da condizionamenti di sorta.

“Nell’università “Sapienza” – scrive il papa sul discorso ufficiale, mai tenuto, ma reso pubblico - … sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale”. Ma più in là si chiede: “Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università?”, preferendo percorrere la strada meno incidentata dell’etica e della filosofia, della ricerca del bene e di quella della verità; cercando di evitare le trappole insidiose del proselitismo religioso (che nelle più consone sedi ecclesiastiche è quello che caratterizza il suo ruolo) e affannandosi, piuttosto, a giustificare la sua presenza lì con argomentazioni che solo indirettamente portano a concetti religiosi (parla di verità, piuttosto che di fede), preferendo, al ruolo ufficiale, un ruolo "super partes": “Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa – sta scritto sul suo discorso - e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito (del papa, n.d.r.) mantenere desta la sensibilità per la verità”.

Ecco, in questo ennesimo pasticcio italiano il papa a me pare sia stato l’unico, tra i tanti protagonisti della storia, a rendersi realmente conto del problema (non mi meraviglierei se avesse tirato un sospiro di sollievo declinando l’invito, decisione, questa, che personalmente immagino autonoma e non indotta dal Governo, come il presidente della Cei Angelo Bagnasco vorrebbe far credere).
Sicuramente più accorto, dunque, Ratzinger, del rettore Guarini, che non solo ha sbagliato, ma ha anche perseverato nell’errore, promettendo “urbe et orbi” di rinnovare a breve quell’invito; più dell’Università Kore di Enna, che con una bella mossa di marketing accademico (utile all’immagine dell’eterna Cenerentola degli Atenei siciliani), ha già fatto partire il suo invito; più dello studente palermitano, che nella sua lettera al quotidiano locale ha invitato “le Autorità accademiche palermitane a reagire”, sollecitandole a “rimediare” con un invito per l’inaugurazione del locale anno accademico.

Al di là della polemica che si è innescata in questi giorni, sarebbe il caso che l’Università italiana si chiedesse: qual è lo scopo dell’inaugurazione di un nuovo anno accademico? a che serve e che cos’è? è un momento di autocelebrazione? di mondanità? di ostentazione di ruoli ed ermellini? o non piuttosto di apertura di un nuovo ciclo? un momento solenne per un impegno si auspica altrettanto solenne, preso davanti a una comunità – di docenti, ma soprattutto di studenti - che questo si aspetta da quei vertici accademici schierati di fronte in pompa magna, questo e non altro.
Perché discettare di pena di morte, come ha fatto il rettore Guarini a Roma, è sicuramente utile, ma è fuori tema, scollato dalla realtà universitaria e lontano dallo spirito che deve permeare l’inizio di un nuovo anno accademico.

E allora no agli inviti “di parte” (qualsiasi parte) forieri di polemiche e veleni, e sì invece alle "Lectio Magistralis" di Premi Nobel, di personalità della cultura nazionale e internazionale, del mondo scientifico o letterario.
E sì anche all’invito di esperti di temi e problemi universitari (italiani, ma anche stranieri), per trasformare una giornata di inutile autoglorificazione in una di proficuo lavoro, di conoscenza, di approfondimento, di analisi, di confronto e soprattutto di programmazione.



 


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