novembre-dicembre 2008 numero 82/83

attualità
Scontro tra Procure, vergogna nazionale
L’argomento non ci compete, ma ne parliamo sotto un altro aspetto, che ci compete invece molto da vicino
 

di  Francesca Patanè

nella foto: La sede del C.S.M., a Roma, dov'è approdato il caso

Non possiamo tacere su quanto sta avvenendo in Italia perché il nostro giornale è vero che si occupa di Università, ma è anche vero che non vive fuori dalla società (cosiddetta) civile.
Pertanto sull'argomento del giorno - lo scontro tra Procure, quella di Salerno e quella di Catanzaro, approdato al Consiglio Superiore della Magistratura - non entriamo nel merito per tre motivi: perché non ne siamo competenti, perché il tema esula appunto dai nostri interessi diretti e perché il caso ha sfiorato solo di striscio il nostro giornale, quando abbiamo parlato – a più riprese, per la verità – di Luigi De Magistris e di Toghe Lucane in relazione alla vicenda che ha coinvolto e ancora coinvolge la professoressa dell’Università della Basilicata Albina Colella. (Per ricordare meglio vi rimandiamo alla lettura dell'ultimo nostro articolo pubblicato sul caso).

Ma ci preme affrontarlo - e provocatoriamente in apertura - sotto un altro aspetto conseguenziale, che - questo sì - ci riguarda direttamente come operatori dell'informazione, l’aspetto che può avere solo un nome in quest’Italia dai mille e contraddittori volti: quello della censura giornalistica.

La notizia. Il 3 dicembre scorso l’inviato del “Corriere della Sera” Carlo Vulpio, che per due anni aveva seguito per conto del suo giornale le inchieste sul caso De Magistris – come ha annunciato lui stesso dal suo sito (www.carlovulpio.it) - è stato sollevato dall'incarico. Vulpio è uno dei giornalisti indagati per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa e alla violazione del segreto istruttorio. Ma allora, contrariamente ad oggi, il suo giornale l’appoggiava. Ci piacerebbe sapere che cos’è cambiato da allora ad ora.

In realtà il lavoro del giornalista sta diventando sempre più difficile, con leggi sempre più liberticide che impediscono ai giornalisti l’accesso alle fonti e la pubblicazione del materiale documentale a cui, per chissà quale caso fortuito (sempre più fortuito, vista l’accusa di correità a cui verrebbero sottoposte le lingue lunghe degli Uffici delle Procure pronte a girare fonti e notizie alla stampa), dovessero venire in possesso.

Siamo in clima di dittatura (e di intimidazioni), è questa la verità, e lo siamo già da anni, con un processo che è andato via via fortificandosi e che non è riferibile a un Governo in particolare, ma al complesso degli ultimi Governi che si sono succeduti.
Dunque una dittatura trasversale (non solo politica - con ministri pronti a stringere sempre più forte il cappio intorno al collo della stampa libera - ma anche giudiziaria, con una Magistratura partigiana - di destra o di sinistra, poco importa) impedisce a una larga fetta di popolazione – quella che gravita intorno al mondo dell’informazione – di fare il proprio lavoro.
Certo, non tutti i giornalisti sono liberi, tutt’altro, e questo è un sicuro elemento di contestazione: la stampa schierata esiste ed è sempre più prolifica, non siamo certamente noi a non volerlo ammettere (al contrario noi l’abbiamo sempre denunciato e ne abbiamo sempre preso le distanze), ma esistono anche, i giornalisti liberi, come Carlo Vulpio, per esempio, giornalisti cioè che davanti alla fede politica pongono la propria professionalità, che per un giornalista si traduce nel volere raccontare alla gente le cose come stanno e non come loro vorrebbero che stessero o come altri vorrebbero che stessero (e cercano di ottenerlo coi mezzi indiretti della coercizione del diritto alla libertà di pensiero e di azione).

E allora una proposta provocatoria (paradossale e fantastica) potrebbe essere quella di eliminare il giornalismo italiano, di chiudere l’Ordine, di oscurare tutti i giornali in rete e tutti i vari blog di settore e di impedire a chiunque, accreditati dalla professione e non, di fare informazione (pensando prima a una soluzione per il reimpiego di tutti i novelli disoccupatii...).

Oppure, in alternativa, ripristinare il Minculpop. Sperando che le veline del rinnovato Ministero siano almeno procaci come quelle della Tv spazzatura che siamo oramai abituati a vedere.
 


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