marzo-aprile 2009 numero 86/87

attualità
Abbagli pubblici e verità private
Un “caso” fondato sul nulla o secretato per ragioni di opportunità?
 

di  Francesca Patanè

nella foto: L’Università degli Studi di Catania

Non per piaggeria, che non fa parte del nostro patrimonio genetico, né per spezzare una lancia a favore dell’Istituzione in linea di principio (nemmeno queste scelte ci appartengono), ma solo per chiarire, perché, davvero, nessuno è esente dal prendere cantonate quando si parla di Università. E c’è poi chi, quelle cantonate, è pronto a raccoglierle e a strombazzarle, con una cassa di risonanza che rimbomba in ogni dove.

Stiamo parlando dell’Ateneo di Catania e del professore Isidoro Di Carlo che, scrivendo su “la Repubblica” di “graduatorie di merito” dei docenti dell’Università etnea ha scatenato un putiferio di portata nazionale, anzi internazionale, visto che la notizia è rimbalzata anche Oltreoceano.
Ed era logico, d’altra parte. I professori universitari esaminano, ma non amano essere esaminati, questo è notorio. “… si è avuta la conferma di come la gran parte dei baroni… si trovino in fondo alla graduatoria” sostiene sulla lettera Di Carlo.

E però per correttezza il prof catanese avrebbe dovuto specificare un paio di cose che invece ha trascurato di precisare.
Ovvero che quella che lui chiama “graduatoria di merito” non è altro che la comunicazione, rilasciata in maniera volontaria e dunque senza alcuna imposizione, delle ultime produzioni scientifiche di quei docenti che hanno ritenuto di volerle comunicare; che il fine della comunicazione non era quello di farsi giudicare secondo il merito (non pensiamo sinceramente, con tutta la buonafede che riconosciamo in generale ai prof, che qualcuno di loro, specie se agli ultimi posti in “graduatoria”, fornisca lui stesso la “croce” giusta per farsi crocifiggere), ma quello – di tipo essenzialmente pratico-burocratico – di conferire i finanziamenti dei Progetti d'Ateneo (ex 60%) come da delibera del Senato Accademico del 21 maggio 2008.

Certo il processo di valutazione diventa consequenziale, ma può solo essere indicativo, non potendosi basare il giudizio, a nostro parere, su una produzione parziale e fornita spontaneamente e ancor meno si può procedere ad alcun giudizio di merito comparando lavori tra loro diversi e appartenenti a ben 17 tipologie differenti, tante sono le aree entro cui sono raccolti i lavori scientifici presentati.

Detto questo e spezzando una lancia a favore del Di Carlo, c’è da dire però che qualcosa di “fastidioso” bolle in pentola, qualcosa che si deve a ogni costo tenere nascosto. E cioè:

1) che i nomi dei docenti che hanno prodotto costituisce il Catalogo d’Ateneo, che pur consultabile in rete è comunque scomodo in quanto pubblicizza con maggiore evidenza chi ha prodotto e chi no;

2) che a quei docenti le Commissioni scientifiche di area ad hoc costituite attribuiranno (o hanno già attribuito, non sappiamo) un “peso specifico” che varia a seconda della tipologia delle pubblicazioni presentate: a quelle “di maggior pregio scientifico” per ciascuna area verrà assegnato il peso di valore massimo nella scala, per esempio 10;

3) che la somma dei pesi attribuiti alle varie tipologie deve essere uguale a un valore prefissato e lo stesso per tutte le aree (ad esempio 50);

4) che per ciascun docente verrà anche calcolato un “peso scientifico modificato” che tiene conto del numero di co-autori in accordo a parametri correttivi determinati per ciascuna area sempre dalla Commissione scientifica. Tale peso modificato verrà poi utilizzato per confrontare docenti appartenenti alla stessa area.

E su un’altra cosa stanno tentando di glissare a Catania, e cioè che è stata stabilita una soglia minimale che consentirà di suddividere i ricercatori dell’Ateneo in operativi (con peso scientifico al di sopra della soglia) e non operativi (con peso scientifico al di sotto della soglia).
Tutti elementi, questi, che potrebbero fare, a seconda dei risultati, molto rumore.

E’ allora questa attribuzione dei pesi specifici che fa parlare a Di Carlo di graduatorie di merito? Se è così, le fasi di valutazione, rinnegate ufficialmente, ma realmente esistenti e utilizzate solo “per uso interno” alla faccia della trasparenza di tutti gli atti di ogni Pubblica Amministrazione, sarebbero tre: la prima, pur con le limitazioni che noi abbiamo evidenziato sopra, finalizzata alla creazione del Catalogo d’Ateneo; la seconda indirizzata a teorizzare i pesi specifici per le 17 tipologie; la terza diretta all’assegnazione di questi pesi da parte delle Commissioni scientifiche di area, fase questa molto delicata e – chissà perché, ma forse si può capire perché – da tenere “strettamente riservata”.

Nonostante le “bugie”, le minimizzazioni (come sostiene il Cineca, nella valutazione verranno considerati tutti e solo i lavori presenti sul Catalogo), le clamorose smentite, le mezze verità e le rassicurazioni finalizzate a non creare allarmismi, la situazione catanese su questo argomento è migliore di molte altre.
Gli Atenei di Palermo e Trieste, per esempio, sono ancora fermi alla fase 1 (disponibile tramite link a Saperi/Cineca), ma non hanno mai dichiarato di voler fare una graduatoria di “pesi specifici” per tutti i docenti. Le altre Università non sono arrivate nemmeno alla fase 1.

C’è da dire però che non tutti gli Atenei hanno richiesto il sistema Saperi per mettere in linea il Catalogo d’Ateneo e pertanto è probabile che vi siano Cataloghi realizzati con sistemi diversi.

Al di là di tutto, noi ribadiamo il concetto: non capiamo perché la graduatoria non sia e non possa essere di dominio pubblico. In una Università pubblica, ripetiamo, tutti gli atti dovrebbero essere pubblici. Se non lo sono, o peggio, se vengono secretati, come in questo caso catanese o come nel caso dell'Ateneo di Parma, è legittimo chiedersi perché.


 


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