diretto da Francesca Patanè

maggio-giugno 2009 numero 88/89

Non sto su Facebook e me ne vanto

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di Francesca Patanè

 

Non c’è niente di più becero che seguire una moda.

Io le mode le rifuggo. Nel senso che loro vanno da una parte e io dalla parte opposta. Perché? Semplice. Perché la moda c’è chi la segue e c’è chi la fa. Io preferisco farla.

Perciò, sarà che sono influenzata dal mio spirito anticonvenzionale, sarà che detesto l’omologazione, sarà che amo l’originalità e la distinzione dal gruppo. Sta di fatto che io non sto su Facebook.
Potrete dirmi antiquata, oppure snob, a seconda della vostra opinione sull’argomento: io me ne sto a guardare e me la rido.
Ammetto che qualche volta (vuoi ritrovare un compagno di scuola? cercalo su Facebook! hai bisogno di un suggerimento? chiedilo ai tanti amici che hai inserito sulla tua pagina di Facebook! vuoi una nuova storia sentimentale? prova a esaminare i profili di Facebook!… e magari ti capita anche di incontrare qualche nome noto in cerca di allargare i suoi contatti a scopi pubblicitari, ma anche lì ci sono le dovute eccezioni: Piersilvio Berlusconi, per esempio, il vicepresidente di Mediaset, ha sorpreso tutti quando ha dichiarato di non essere su Facebook. Certo lui, nella sua illustre posizione - ottenuta già in partenza per… diritto ereditario e poi probabilmente anche per professionalità e intuito commerciale - non ha bisogno di cercare contatti, in ogni caso non si è lasciato condizionare dalla moda e questo gli fa onore).
Si vive meglio senza belare, credete a una che di greggi ne ha visti abbastanza (nell’ambiente accademico nazionale ci sono diversi giardini zoologici di tutte le specie animali e di tutte le dimensioni).

Il popolare sito di social network però ha anche i suoi risvolti negativi.
Tra questi quello di essere stato preso di mira da diverse aziende che, avendo scoperto i propri dipendenti alle prese con Facebook, li hanno licenziati in tronco. Com’è accaduto a una trentenne di Basilea, scaricata dalla compagnia di assicurazioni svizzera per cui lavorava perché sorpresa su Facebook durante un’assenza per motivi di salute: “Deve lasciare la società – le è stato detto – chi è in grado di navigare in rete può anche lavorare”. La donna, dal canto suo, ha accusato l’azienda di avere spiato diversi dipendenti suoi colleghi e l’azienda ha restituito al mittente quell’accusa di “spionaggio” che forse a qualcuno potrà sembrare esagerata, ma che, in un clima da Grande Fratello com’è quello che stiamo vivendo, non è tanto lontana dalla realtà.

Non mi stupirei se Facoltà e Dipartimenti degli Atenei italiani provassero a fare la stessa cosa, provassero a controllare i propri dipendenti, cioè, non foss’altro che per arginare pericolose interferenze su fatti che sarebbe meglio – per loro – restassero dietro le quinte degli inciuci accademici nazionali.
E se i baroni si improvvisassero “spie” di social network e cominciassero a minacciare di licenziamento i dipendenti che da Siena a Roma, da Firenze a Catanzaro, da Milano a Napoli, da Palermo a Cagliari, ecc. si mettessero in comunicazione via Facebook per raccontarsi pubblicamente ciò che accade nelle loro strutture universitarie e che quando non c’era sant’Internet si riusciva (i baroni riuscivano) meglio a secretare? Direte: ma questi contatti esistono già, nei tanti siti studenteschi dove trovano spazio anche lamentazioni e proteste contro questo o quel professore di questa o quella Università.
Sì, certo, ma volete mettere? Il marchio di qualità di Facebook, dove non scrivono solo anonimi studenti e dove anche docenti “di rottura” contro il sistema del baronato potrebbero trovare uno spazio “blasonato” e soprattutto corrisposto, sarebbe tutta un’altra cosa e supererebbe anche gli incostanti successi dei vari blog, forse troppi e tra loro troppo scoordinati.

Cari signori, forse sarebbe meglio che tutti finalmente faceste nomi e cognomi del marcio accademico di cui siete a conoscenza in uno spazio pubblico, neutro e frequentato come Facebook: non lasciate solo a noi giornalisti il compito di far deflagrare un sistema (vergognoso) che ha già fatto numerosi danni al buon nome dell’Università italiana.

Resta però il fatto che io non sto su Facebook. E me ne vanto.



 


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