gennaio 2007 numero 61

attualità
 La malagiustizia? Figlia naturale della malauniversità
Il caso di Antonio Giangrande, per otto volte candidato all'abilitazione forense, per otto volte stoppato in concorsi "all'italiana"

di  Francesca Patanè

Abbiamo ricevuto una lettera, che pubblichiamo nell'articolo che segue e che ci introduce nel mondo della malagiustizia.

Non è un nuovo tema, essendo la malagiustizia anch'essa, come la malasanità di cui in questi giorni pubblicamente si discute, figlia naturale della malauniversità.
I cattivi avvocati, giuristi, giudici, commissari di concorsi di abilitazione forense e uomini di legge in generale, così come i cattivi medici, nascono da cattivi "maestri", quelli che dalle cattedre universitarie hanno sì insegnato loro la "dottrina" (ma spesso no, considerato il livello di qualità dei docenti italiani, da anni in discesa libera), ma non hanno saputo educarli alla correttezza di comportamento, all'onestà intellettuale, alla sanità dei principi, all'importanza dei valori.

Il caso di Antonio Giangrande, una laurea in Giurisprudenza dieci anni fa e otto tentativi, andati tutti a vuoto, per raggiungere l'agognata abilitazione professionale, è un caso eclatante di malagiustizia, condita da concorsi farsa, ripetute denunce (da parte della vittima) e persino larvate ammissioni dalla "controparte" ("... diventa avvocato il fortunato, perché la fortuna aiuta gli audaci"...).
Ve lo narriamo, nei passaggi essenziali, perché parlarne pubblicamente sulle pagine di un giornale non cambierà abitudini di comportamento ormai radicate, ma contribuirà a facilitare sentimenti di condivisione (e di sdegno).

La scena dei fatti è Lecce, l'arco temporale in cui si svolgono dal 1998 ai giorni nostri.

Sessione d'esame di avvocato 1998-1999. Antonio Giangrande si presenta e viene bocciato. Durante le prove scritte si accorge che alcuni commissari dettano a certi candidati il testo dell'elaborato. Chi non detta, non impedisce agli altri di farlo.
Giangrande scrive al presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Taranto per lamentarsi dell'accaduto. Non riceve risposta.

Sessione d'esame di avvocato 1999-2000. Antonio Giangrande si presenta e viene bocciato. Le anomalie aumentano. "Il presidente della Commissione - dice Giangrande - si eleva a giustiziere, limitando... la concorrenza a favore degli avvocati esistenti". Qualcuno impunemente dichiara: "Non basta studiare e qualificarsi, bisogna avere la fortuna di entrare in determinati circuiti, che per molti non sono accessibili".

Sessione d'esame di avvocato 2000-2001. Antonio Giangrande si presenta e viene bocciato. Le anomalie aumentano ancora. Lecce, sede d'esame, ha il numero più alto di idonei e chi supera la prova - dice Giangrande - "è riconducibile, per omonimia, a studi legali affermati, a consiglieri dell'Ordine, a senatori". Anche la gestione dell'esame pecca di superficialità se, come sostiene Giangrande - a fronte di un'ordinanza del Tar della Lombardia che stigmatizza tutte le Commissioni d'esame che non correggono i compiti "per mancanza di tempo" - gli elaborati a Lecce, dai verbali, dice Giangrande, "risultano corretti in due minuti".
Il Nostro protesta ancora e ancora una volta il presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Taranto a cui egli scrive ritiene italicamente opportuno non rispondere. Ma stavolta Giangrande va giù duro e presenta denuncia penale contro le Commissioni d'esame. Le Procure archiviano.

Sessione d'esame di avvocato 2001-2002. Antonio Giangrande si presenta e viene bocciato. Le anomalie aumentano ancora. L'onorevole Luca Volontè, il 5 luglio 2001, alla Camera dei deputati, presenta una proposta di legge, la n. 1202, per modificare il regio-decreto legge sull'accesso alla professione forense. Volontè parla di "uso strumentale dell'esame di abilitazione", "sbarramenti illegittimi ed incostituzionali nell'accesso all'avvocatura", predeterminazione "di volta in volta delle percentuali di candidati da promuovere", "eccessi di potere" e "violazioni dei principi di trasparenza".
Insomma, secondo il deputato, esponente dell'Udc, i concorsi per avvocato in Italia sono truccati e gli idonei non sono i più capaci, ma i raccomandati. La proposta di legge rimane proposta.
Giangrande, come altri candidati, si oppone ancora alla gestione leccese degli esami per avvocato e presenta un'altra denuncia penale contro la Commissione. Indice puntato sui componenti, i membri del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Taranto, presidente compreso (quello che aveva ridotto a lettera morta le proteste scritte di Giangrande) con decine di testimoni pronti a dichiarare che i commissari agli esami suggeriscono. Segue italicamente regolare insabbiatura.

Sessione d'esame di avvocato 2002-2003. Antonio Giangrande si presenta e viene bocciato. Le anomalie aumentano ancora. Nonostante un nuovo presidente di Commissione - inviato dal ministro Roberto Castelli per tamponare le irregolarità in sostituzione del precedente, spedito intanto in Calabria - e nonostante la presenza, assicurata dal Ministero, di un ispettore.
Intanto il ministro propone un decreto legge di modifica degli esami (n. 112/2003), "attuando pedissequamente - dice Giangrande - la volontà del Consiglio nazionale forense che, di fatto, sfiducia le Commissioni d'esame in tutta Italia".
Scopo di Castelli: regolamentare i concorsi forensi con maggiore trasparenza; di fatto alzare paletti contro scorrettezze e abusi.
Il decreto legge è coordinato e modificato dalla legge di conversione n. 180/2003, a conclusione di un infuocato dibattito parlamentare intorno al sistema poco trasparente di accesso all'avvocatura.
 Coi nuovi criteri le Commissioni vengono irreggimentate dalle Sottocommissioni, correzioni dei compite comprese, che non possono più essere effettuate dalla stessa Commissione d'esame.
Tutto a posto? Neanche per idea, dice Giangrande. Prova ne è la presenza nelle nuove Commissioni di ex consiglieri dell'Ordine degli avvocati già invischiati nei fatti denunciati quando erano ancora in carica.

Sessione d'esame di avvocato 2003-2004. Antonio Giangrande si presenta e viene bocciato. Come suo fratello. Le anomalie aumentano ancora. Vecchie facce i commissari (nonostante le denunce penali di Giangrande e altri candidati); solita farsa la prova d'esame, coi favoriti a copiare da ogni dove (grazie all'ingresso in aula delle nuove tecnologie): testi cartacei, telefonini, palmari e fogli con compiti preconfezionati, "passati - dice Giangrande - dagli stessi commissari".
I praticanti dei commissari risultano idonei, con una netta superiorità di quelli leccesi su tutti gi altri; i nomi degli idonei circolano mesi prima dei risultati.
Le denunce fioccano: alle Procure di Lecce e di Bari, alle Procure antimafia di Lecce, Bari e Roma, a tutti i procuratori generali e procuratori capo di tutta Italia, al presidente del Consiglio, al ministro della Giustizia, al presidente della Commissione parlamentare antimafia e giustizia del Senato. Denunce formali per associazione mafiosa ai commissari d'esame, denunce che però da Lecce, con dichiarazione di incompetenza a procedere, vengono smistate a Potenza. Ma prima del trasferimento delle pratiche, si omette clamorosamente di sequestrare le fonti di prova (gli elaborati) a rischio pertanto di essere inquinate.

Sessione d'esame di avvocato 2004-2005. Antonio Giangrande si presenta e viene bocciato. Come suo fratello. Nessuna novità: stesse facce in Commissione, alle prove stessi suggerimenti e stesse scopiazzature. Alle denunce non c'è alcun seguito, tutto viene come di norma insabbiato o archiviato.

Sessione d'esame di avvocato 2005-2006. Antonio Giangrande si presenta e viene bocciato. Come suo fratello. Protagonisti assoluti, durante la prova, libri e palmari. Alcuni membri di Commissione - dice Giangrande - dettano ai candidati l'intero contenuto degli elaborati. Le denunce restano ancora una volta lettera morta.

Il caso di Antonio Giangrande è ancora aperto. Non sappiamo come finirà.
Quello che sappiamo con certezza è che il sistema dei concorsi di abilitazione alla professione forense in Italia non funziona. Se funzionasse, non ci sarebbero in certe Corti d'Appello sede di esami percentuali di promossi pari quasi al 100% contro altre in cui è il numero di bocciati che invece arriva al 90% (con conseguenti preventivi cambi di residenza dei candidati più abbienti secondo convenienza); se funzionasse, molti aspiranti all'abilitazione non aggirerebbero l'ostacolo di concorsi di tal fatta "passando" prima da un qualsiasi Paese dell'Unione Europea (spesso la vicina Spagna) dove non è richiesto un esame per l'accesso alla professione di avvocato, per poi far ritorno in patria a esercitare; se funzionasse, i Tribunali amministrativi regionali non sarebbero intasati da migliaia di ricorsi avverso gli esiti degli esami; se funzionasse, il Tar della Lombardia, per esempio, non avrebbe riconosciuto "apprezzabili motivi di fondatezza" nei vizi procedimentali da più parti lamentati; se funzionasse, la media dei tempi di correzione di ciascun elaborato concorsuale non sarebbe - com'è stato verificato - di due minuti, ma minimo di cinque, secondo un'ordinanza dello stesso Tar Lombardia che ha fissato appunto in cinque minuti i tempi minimi di sola lettura, escludendo dunque tutte le operazioni di correzione e valutazione conseguenti (da ciò legittimo dedurre che gli elaborati ai concorsi di abilitazione forense non vengono neanche letti).
Se funzionasse, Antonio Giangrande non avrebbe avuto necessità di scriverci e noi di parlarne qui.

Avrà fine la malagiustizia, che ha bruciato Giangrande (a cui, secondo legge, hanno anche tolto il patrocinio legale) e con lui tanti altri candidati alla bocciatura predestinata?
Forse, a patto che la cura cominci nelle aule accademiche, dove sarebbe il caso che finalmente si iniziasse davvero a parlare di cultura. Della legalità.


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