gennaio 2007 numero 61

attualità
 Gli Atenei nazionali? Case di riposo
 
Carta parla: l'Accademia italiana quasi del tutto affidata agli ultrasessantenni. Qualità assicurata

di  f. p.

nella foto: Scultura di Matusalemme

Il mondo è dei giovani? Forse. Quello accademico italiano no di certo.

Un'analisi del "Corriere della Sera", ricavata da dati ministeriali aggiornati a questo mese di gennaio, parla chiaro. E dice che su 18.651 docenti di ruolo, 5.647, ovvero il 30,3%, hanno più di 65 anni. Contro i 9 con meno di 35: cioè lo 0,05% (7,3% i cattedratici sotto i 35 anni americani, 11,6% i francesi, 16% quelli del Regno Unito).
E questo nonostante negli ultimi ventidue anni il numero dei docenti accademici di ruolo sia abbondantemente raddoppiato (nel 1985 erano "appena" 8.454!).

Conclusione numero uno: in Italia diventano cattedratici i vecchi (a noi non piace chiamare i ciechi non vedenti).
Conclusione numero due: in Italia la didattica e la ricerca - ovvero i due principali obiettivi delle Università - sono affidate ai vecchi.
Questo vuol dire che sono sempre loro - i vecchi - che dovrebbero darsi da fare per aggiornarsi e produrre, a garanzia della qualità dei loro insegnamenti; e sono sempre loro - i vecchi - che dovrebbero lambiccarsi il cervello - aterosclerosi permettendo - alla ricerca di nuove scoperte che potrebbero assicurare all'Accademia Italiana un posto di rilevo nel contesto scientifico internazionale che più conta (certamente molto più di quello attuale nazionale e, per quanto ne sappiamo, anche di quello regionale siciliano).

Però i vecchi, saranno vecchi, ma non sono mica scemi.
Perciò, se come cattedratici di struttura pubblica, quando va male, hanno almeno uno stipendio assicurato (quando va bene ne hanno anche due, grazie all'insegnamento parallelo e non considerato ancora conflittuale dalla normativa vigente, nelle Università private e telematiche), chi glielo fa fare, alla loro veneranda età, di studiare, leggere e soprattutto scrivere, a beneficio degli studenti e della disciplina che insegnano? ("quando" la insegnano, ovvero quando non hanno altro da fare se non presentarsi, ora più ora meno sul calendario prefissato, al loro posto di lavoro).
Chi glielo fa fare a perdersi dietro vetrini e provette, numeri e dati statistici, intuizioni e verifiche sul campo (leggasi laboratori, che se da un lato non agevolano la ricerca perché sono tanto inusati da essersi arrugginiti con tutte le loro attrezzature, dall'altro forniscono alla classe accademica italiana un'ottima scusa per non occuparsene), quando a ogni ventisette, giorno più giorno meno, alla faccia della meritocrazia, arrivano puntuali fior di accrediti sul conto?

Certo, anche i giovani, da cattedratici, avrebbero le stesse certezze e il rischio di "addormentarsi", su queste certezze, potrebbe essere anche per loro un rischio reale.
Ma se i vecchi hanno il pregio di poter elargire perle di esperienza (quando ce l'hanno), i giovani hanno qualcosa dalla loro parte che i vecchi non hanno: il futuro. E col futuro la voglia di vivere e di mettersi quotidianamente in gioco, a tutto vantaggio della qualità.

Parliamo dei giovani veri, naturalmente, dunque non di quelli che nelle Università italiane hanno già raggiunto la soglia dei sessant'anni sotto le mentite spoglie di "associati", ovvero di chi, si suppone appunto ancora giovane, nella carriera accademica nazionale aspetta ancora di passare di ruolo.
Eh già, perché qui bisogna precisare. In Italia dire "associato" e dire "giovane accademico che deve ancora raggiungere la vetta della cattedra" non è esattamente la stessa cosa, visto che, come sottolinea l'analisi del Corriere, la fascia d'età più affollata, tra i 18.150 associati di cui pullulano i nostri Atenei nazionali, è proprio quella dei sessant'anni. E tra questi 18.150 - sembra incredibile - ben 1.758 hanno raggiunto quota 65. Che è come dire pensione.
Una vita eternamente da associato, una vita eternamente a sbavare dietro le cattedre di altri coetanei che sono stati più bravi, o più furbi, o più "fortunati" ad arrivare al baronato accademico e soprattutto a tenerselo ben stretto, dopo, per non farselo scappare.

Insomma, stando così le cose, tra le tante specializzazioni delle Università e Universitine italiane, pubbliche, private e telematiche, una sola è quella sicuramente più indovinata: la geriatria.


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