maggio-giugno 2009 numero 88/89

attualità
Dal ruscello fangoso dei monaci lanzaroniani emerge la sentenza di assoluzione per Quirino Paris, il prof stronca-baroni
Intervista al docente che ha vinto e che alla sua controparte dice: "Datevi
una calmata..."

di Francesca Patanè


“In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà…”.

Junio Valerio Borghese (anche se qualcuno storcerà il naso…).

Dedicato a Mario Prestamburgo, Salvatore Tudisca, Antonino Bacarella e a tutti i soccombenti del processo Paris.

 


Non sono bastate le fiabe orientali di Lanzarone (ma non era Fedro quello delle favole?) a convincere il giudice di pace Laura Cancelli che Quirino Paris era colpevole. E così, nonostante la storiella dei monaci e della bella ragazza che deve attraversare un ruscello fangoso e uno dei due la porta in braccio e l’altro rimane colpito di quel contatto carnale e gli chiede spiegazioni (ma dov’è il povero Paris in questa similitudine che sfiora il boccaccesco?), raccontata con la solita vis oratoria greco-latino-sicula dall’avvocato Fabrizio, difensore dei due prof palermitani Tudisca e Bacarella, la Lady di Ferro non è caduta nell’ennesima trappola classicista.

E non si è lasciata sedurre nemmeno dalla dotta lezione sulla mafia (che preparazione, caro Lanzarone, complimenti vivissimi!) per spiegare che cos’è e com’è costituita la cupola (“La cupola è la commissione provinciale di Cosa Nostra e la commissione provinciale domina il territorio attraverso le famiglie. Tre o più famiglie formano il mandamento. Il mandamento elegge il reggente, cioè il rappresentante delle tre famiglie. Ciascun capo mandamento poi va a far parte della cupola”. Ipse dixit, in latino per non essere da meno). La Lady ha semplicemente sentenziato: il fatto non costituisce reato.

Colpita e affondata la nave baronale dell’Agraria italiana. Noi, mentre aspettiamo che il relitto riaffiori per mostrarci che cosa rimane di una potenza che si riteneva indiscussa e indiscutibile, abbiamo ammazzato l’attesa (che potrebbe prolungarsi sine die) intervistando il prof stronca-baroni: Quirino Paris, l’uomo che è stato in grado, esile com’è, di sconvolgere il mondo accademico nazionale scompaginandogli carte e progetti.


- Prof. Paris, il 27 aprile per lei è una data storica...

- Una data che aspettavo da tre anni.

- Che cosa ha pensato in questi anni di dibattimenti?

- Ero ambivalente. Da un lato sapevo che esisteva un copioso pronunciamento della Corte di Cassazione che dice che quando si fa un esposto all’Autorità amministrativa, purché quello che si sostiene sia vero, il fatto non costituisce reato. Proprio grazie a questo pronunciamento è stato abbastanza facile per il giudice emettere la sentenza di assoluzione. Dall’altro lato, però, per i termini forti che io ho usato, sapevo anche di poter andare incontro a una sentenza di condanna.

- Ha tremato un po’ oppure è stato sempre tranquillo?

- No, non mi sono mai spaventato perché le vicende che mi hanno coinvolto mi hanno fatto conoscere come si svolge in concreto la giustizia italiana.

- A Roma si è appena chiuso un filone del processo che l’ha vista coinvolta. E il filone di Trieste?

- Sta ancora nelle mani del gip Morvay che nella seduta del 27 gennaio scorso, dov’erano presenti tutte le parti, ha dichiarato che si sarebbe preso quattro mesi di tempo prima di decidere. I quattro mesi sono scaduti quindi tra poco dovremmo conoscere l’esito.

- La sentenza romana pensa che influenzerà l'esito di Trieste?

- No, non credo, sono due procedimenti completamente diversi e un Gip non si fa influenzare da un esito.

- Che cosa ha imparato da questa esperienza?

- Che se avessi conosciuto prima quella sentenza della Corte di Cassazione sarei stato più tranquillo! E ho imparato anche che il processo di diffamazione è uno strumento nelle mani dei potenti, che serve per intimidire.

- Secondo lei, che cosa ha imparato la sua controparte?

- Difficile. Non so mettermi nei panni di Prestamburgo… e non voglio mettermici. Hanno imparato probabilmente che anche il potere alla fine qualche batosta la subisce.

- Dunque magari non sarà il nostro uno Stato di diritto in piena regola, ma alla fine qualcosa si ottiene.

- Certamente, ma bisogna avere un buon avvocato e una grande costanza.

- Qual è stato il primo pensiero, ma proprio il primo, dopo aver sentito la pronuncia del giudice?

- Che si era già fatta un’idea in questi tre anni ed è per questo che non ha impiegato molto tempo ad arrivare alla sentenza.

- Che cosa le hanno detto dopo la vittoria i tre prof di più evidenza “giuridico-mediatica”, e cioè Mario Prestamburgo, che lei ha posto al vertice della cupola accademica dell’Economia agraria italiana – ora possiamo dirlo visto che dirlo non costituisce reato – e poi Salvatore Tudisca e Antonino Bacarella, agli altri due angoli della “triade... capitolina”?

- A me personalmente non hanno detto niente, non ci siamo mai salutati nel corso del processo, però al mio avvocato il prof. Prestamburgo ha detto che avrebbe scritto lui un libro su come le persone che noi avevamo indicato come possibili testimoni hanno fatto carriera e sono diventati professori. Sarebbe veramente interessante potere leggere questo libro…

- Prima bisogna che lui lo scriva.

- Certo, bisogna aspettare. Comunque Prestamburgo, soprattutto lui, non è rassegnato a questa sconfitta: ha detto al mio avvocato che avrebbe fatto appello.

- Solo lui?

- No, anche l’avvocato di Antonino Bacarella l’ha detto, anche perché Prestamburgo, essendo stato estromesso dal processo, non ha titolo per fare appello.

- Lei intanto continua a essere scomodo per l'Università italiana... Mi è giunta voce di uno scontro tra consiglieri di amministrazione dell’Università di Trento per un commento che ha scritto su un blog riguardo al buco finanziario che si dice esista nell’Ateneo. Che cos’è, una conseguenza diretta della vittoria al “Tribunalino” Roma, come lo chiamiamo noi, che le ha fatto acquistare più sicurezza?

- No, io dico queste cose perché penso che ci sia del marcio in ogni Ateneo italiano, anche in quello di Trento, città da cui sono originario: bisogna solo scavare. Quel buco finanziario comunque sarebbe, secondo il direttore amministrativo, nel bilancio preventivo del 2010, non sarebbe riferito al bilancio consuntivo. Se è così il buco sarebbe solo teorico e non reale.

- Che cosa vorrebbe dire a bocce fredde alla sua sconfitta controparte? Magari un consiglio... una raccomandazione... o anche un rimprovero... lo faccia da qui.


- Non mi permetto di dare consigli alla controparte. Ma la loro mentalità è cambiata rispetto a quella dei professori universitari di una volta: dagli anni Cinquanta e fino al 1975 i veri baroni, designavano sì i loro pupilli, ma lo facevano con un certo stile e con oculatezza. Quando l’Università è voluta diventare di massa e ci sono state le ope legis che hanno immesso nei ranghi tanti professori allora è scaduta la qualità e tutto si è ridotto solo alla gestione del potere del reclutamento. Quindi io direi alla mia controparte: datevi una calmata, lasciate che i bravi studenti emergano, perché ne esistono anche in Italia, e rassegnatevi.

- Parliamo di avvocati. Nel corso dei tanti dibattimenti è spiccata su tutti l’oratoria dell’avvocato Fabrizio Lanzarone, difensore dei due prof palermitani. Lei pensa che troppa ricercata loquacità possa alla fine essere controproducente?

- Ma non c’è dubbio! Sono del parere che anche un avvocato debba essere stringato e arrivare al punto in modo veloce e logico senza fare sfoggio di tanto latinismo e di tanto grecismo perché gli altri avvocati suoi colleghi in dibattimento non è detto che abbiano fatto il liceo classico come lui e forse neanche i giudici, dunque alla fine l’oratoria diventa controproducente perché diventa incomprensibile.

- Professore, qualcuno su un giornale ha scritto che, ora che ha vinto, ha avanzato pubblicamente richiesta di abolire il valore legale della laurea, ma noi sappiamo che non è così e che lei, almeno con noi, già nel novembre del 2006, su un articolo ha scritto che questa abolizione è condizione necessaria per il rinnovamento dell’Università italiana. Una necessità, dunque, e non certo – come ha scritto quel giornalista – una “provocazione”. Vuole ribadire ufficialmente e da qui il suo pensiero, che comprende anche l’abolizione del Miur?

- Contrariamente a quanto sostenuto da quel giornalista, la mia non è un’idea recente, ma un pallino fisso da decenni. Quando ho avuto la possibilità di esprimerla l’ho sempre espressa perché secondo me il problema dell’Università è la cornice di tutela del Miur. I vari Atenei non sono entità indipendenti e maggiorenni e se non si toglie il valore legale ai titoli di studio il ministero ha come mandato la supervisione, il controllo, e l’intervento anche dettagliato nella vita degli atenei: che corsi di laurea, quanti esami bisogna fare, ecc. Quindi i concorsi dovrebbero essere aboliti, ma prima bisognerebbe togliere il valore legale alla laurea. Laurea sì, ma non garantita a priori dal Miur. Certo il periodo di transizione sarà difficile, ma si arriverà comunque a questo, magari tra dieci o vent’anni.

- So che una delle prime cose che ha fatto dopo la vittoria è stata la richiesta di ammissione alla Sidea, da cui era stato espulso tempo fa a causa delle sue denunce... Che cosa le hanno risposto?

- Ancora niente, ma ho saputo che il suo Consiglio di Presidenza ha preso atto della richiesta e deciso di “istruire la questione” con un supplemento di indagine. Insomma, vogliono riprendere in mano tutte le carte per capire esattamente che cos’è successo. Ma l’estratto del verbale del Consiglio di Presidenza che mi aveva espulso era stato inviato, a quel tempo, a tutti i membri della Sidea. Quindi “le carte” sono già nelle mani di tutti. Io spero di essere riammesso.

- Qualcuno farà opposizione…


- Sicuramente. Quando Prestamburgo e gli altri sapranno che sono stato riammesso non la prenderanno troppo bene…

- Professore, a margine, un accenno all'organizzazione del “Tribunalino” della Pace, come l’abbiamo chiamato noi. Lei ha cominciato con un Pubblico Ministero donna, tale Paola Berardini, ha proseguito con altri PM sempre diversi, uomini e donne. Nuovi e soprattutto "ignoranti" del fascicolo. Molti ritardi sono stati causati dunque anche da una disorganizzazione di base che non ha certamente contribuito a sveltire il procedimento dibattimentale. Come giudica questa situazione sicuramente tutta italiana?

- La situazione in cui mi sono trovato ha degli aspetti ridicoli, pirandelliani, perché il Pm istruttore – la Berardini – ha commesso tutta una serie di errori procedurali: per poter rimediare a questi errori si è dovuto rimandare di sei mesi in sei mesi.

- Come ha visto lei questa continua sostituzione di Pubblici Ministeri?


- Come una disfunzione. Anche se si tratta di dibattimenti semplici come quelli che in genere si discutono davanti a un Tribunale della pace, deve esserci qualcosa che non funziona: io, per esempio, in questi tre anni non ho mai sentito il giudice pronunciare alcuna sentenza.

- Secondo lei le nuove procedure concorsuali del D.L. 180 del ministro Gelmini contribuiranno a fare chiarezza nel caos dei concorsi universitari?

- Il Decreto Gelmini prevede che i membri delle Commissioni di concorso vengano eletti in un numero triplo rispetto a quelli occorrenti, dopo si dovrà procedere con l’estrazione a sorte. Io penso che non ci sarà un miglioramento vero: è un problema di cultura e di atteggiamento mentale…

- Quindi lei è pessimista davanti a questa novità.

- Be’, sì. Però c’è un progetto ancora da discutere che potrebbe essere interessante, quello delle abilitazioni nazionali valide per quattro anni: per poter partecipare ai concorsi bisognerà essere abilitati. A Commissioni così predisposte dovrebbero partecipare anche uno o due professori stranieri. Credo che in questo modo il sorteggio possa davvero costituire un elemento importante nella formazione delle Commissioni e questo progetto va al di là di quello che sta scritto sul decreto Gelmini.

- E adesso che ha vinto, professore, non la rivedremo più in Italia?


- Assolutamente no, tornerò ancora! L’Italia è il mio Paese e io sono legato al mio Paese, nonostante le tante cose che non vanno. E poi c’è sempre il filone di Trieste…

Ride rilassato Quirino Paris e intanto comincia a programmare il suo prossimo articolo per “Ateneo Palermitano” (pubblicato su questo numero)…



 


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