luglio-agosto 2007 numero 67/68

attualità
Palermo: Alessandro Scardina vince al Tar e l’Ateneo
è costretto a fare marcia indietro
Accolto il ricorso dell'ennesima vittima della solita malauniversità

 

di  Francesca Patanè

nella foto: L’erezione del muro di Berlino, il 13 agosto del 1961

A Berlino i muri cadono, a Palermo i muri si innalzano. Questioni politiche?
Di più. Questioni di “sopravvivenza”.

Quattro mesi fa al Dipartimento di Scienze stomatologiche dell’Università di Palermo c’erano due porte e una stanza, quella dove convivevano i due protagonisti della storia.
Ora, le porte sono sempre due, ma anche le stanze, “opportunamente” divise da una parete in plexiglass: da un lato ci lavora Giuseppe Alessandro Scardina, il ricorrente, ennesima “vittima” di un concorso universitario in perfetto stile nazionale, che nel frattempo ha ottenuto un assegno biennale di ricerca; dall’altro Chiara Di Liberto, la candidata vincitrice, cioè ex vincitrice, ovvero vincitrice fino a prova contraria – nella fattispecie una sentenza di annullamento del Tar - che non ha mai smesso di lavorare in quel Dipartimento, a fianco del direttore (ora ex) Matteo D’Angelo, il quale, all’epoca del concorso, oltre a essere direttore del Dipartimento, era anche presidente del corso di laurea (lo è ancora), presidente nazionale del Collegio dei docenti di Odontoiatria (lo è ancora) e - soprattutto - presidente della Commissione del concorso vinto dalla sua più stretta collaboratrice (non lo sarà mai più, per via della sentenza di quel birboncello del Tar Sicilia, che ha annullato la selezione e imposto all’Ateneo di rifare tutte le procedure, nomina di una nuova Commissione compresa).

Regolare, secondo la legge. Ma in un Paese serio, in casi come questo, si parlerebbe di incompatibilità, come minimo. In Italia non solo non si parla di incompatibilità, ma nessuno (della Commissione esaminatrice) ci trova da ridire se la candidata (poi vincitrice e poi ex vincitrice) presenta un elenco di titoli di pubblicazioni scritte a più mani, due delle quali quasi sempre del suo Prof (il D’Angelo, naturalmente). In un tutt’uno armonico, talmente armonico che non si capisce dove finisce l’apporto scientifico dei Prof (del Prof) e dove comincia il suo sforzo intellettuale di aspirante ricercatrice dell’Università di Palermo.
Una storia, quella che stiamo per raccontarvi, che comincia male, procede malissimo e che probabilmente (coi dovuti scongiuri) si concluderà anche peggio, nonostante (l’apparente) vittoria della vittima (poi vi diciamo perché).

Ma cominciamo dall’inizio.

Il 28 aprile 2005 il rettore Giuseppe Silvestri indice una procedura di valutazione comparativa - in parole povere bandisce un concorso – per la copertura di n. 63 posti di ricercatore nelle diverse Facoltà dell’Ateneo e per diversi settori scientifico-disciplinari.
Alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, per il settore Med/28 – quello di Scardina e della Di Liberto – assegna un posto e – per la prima volta nella storia del Med/28 all’Università di Palermo, che appena sei mesi prima per un analogo concorso, dello stesso settore, l’aveva pensata all’opposto - limita (nella fattispecie a 10), pena l’esclusione!, il numero di pubblicazioni valevoli ai fini della valutazione comparativa (non il numero complessivo dei lavori realizzati nel corso dell’intera attività scientifica, che i candidati – se ne fossero stati in possesso – avrebbero potuto elencare a parte, per una più “adeguata valutazione”): non solo limita, ma - contrariamente a quanto stabilisce la legge che consente la limitazione, però solo in presenza di motivazioni precise - non giustifica.

Una prassi singolare, questa della limitazione delle pubblicazioni, che ora c’è, ora non c’è, e qualche volta, quando c’è, come in questo caso, non è nemmeno motivata come vorrebbe la legge. E che soprattutto costituisce un inutile, e anzi deleterio e ridicolo livellamento forzato di tutti i candidati ai nastri di partenza.
Difficile comprenderne la “ratio” (solo quella di superficie, però): che ragione c’è, infatti, di livellare in partenza i candidati, se un concorso si fa proprio per stabilire chi è il più bravo? E se c’è un candidato con 9 pubblicazioni e un altro con 32 (i numeri, come vedrete dopo, non sono casuali), che ragione c’è di obbligarli a presentarne, con o senza motivazione, solo 10?
L’epoca dell’omologazione a tutti i costi, tanto cara ai sindacati di oggi, come quella dei benefici a pioggia per non scontentare nessuno (persone o strutture, è lo stesso), è finita: ora conta la produttività, il lavoro a progetto, l’effettiva resa. Imporre un tetto massimo alle pubblicazioni da presentare ai concorsi è vergognoso, tutto qui (e perché allora non stabilirne anche uno minimo?). E serve solo a favorire (guarda caso), con il solito sistema del concorso-fotocopia, candidati meno produttivi che, senza quell’escamotage, col piffero che vincerebbero.
Vero è che non è dal numero che si vede la qualità… ma allora, se, per esempio, tre pubblicazioni possono essere più importanti di dieci, cinquanta, cento pubblicazioni, perché, nel caso in questione (volendo sindacare l’insindacabilità dei giudizi dei commissari in sede di concorso), le tre di Scardina – le sole ritenute valide dalla Commissione esaminatrice - sono state giudicate di minore valore rispetto alle nove della Di Liberto, pur avendo – le tre di Scardina - oggettiva e attestata rilevanza scientifica internazionale? E che autorità può avere il giudizio di un presidente di Commissione che tra le pubblicazioni da esaminare ritrova pure le sue?
Ma chiudiamo la parentesi e non anticipiamo oltre… Torniamo alla storia.

Il bando rettorale viene pubblicato sulla base di una delibera del Consiglio di Facoltà, come effettivamente previsto dallo Statuto dell’Ateneo (art. 17, comma 3, lettera c.) , ma senza il parere preventivo, previsto sempre dallo stesso articolo dello Statuto, da parte del Consiglio di Dipartimento, Organo che peraltro – per il fatto di conoscere più direttamente le esigenze della struttura – a nostro avviso, dovrebbe essere l’unico deputato a richiedere posti ed eventuale inserimento di clausole come quella della limitazione del numero di pubblicazioni valide ai fini del concorso (ma lo Statuto dell’Ateneo è evanescente su questo delicato passaggio).

La nomina della Commissione evidenzia la solita, affermata prassi: la concentrazione di voti, per quanto riguarda i membri nominati per elezione, solo su due docenti: i predestinati, secondo concorsopoli, a far parte del pool di esaminatori, quelli che affiancheranno l’unico membro designato. Anche nel caso-Scardina la concentrazione di voti sui membri eletti fa a pugni - pure visivamente, come si può facilmente verificare cliccando qui - con l’unico voto ciascuno di tutti gli altri, presenti pro-forma, sempre secondo concorsopoli.

Ed è questa evenienza - teoricamente rara, nei fatti regolare – che è stata definita, con una sola efficacissima immagine, “a cassettone-moquette” dal professore Quirino Paris, l’economista agrario italiano che vive in California e che per primo ha parlato di concorsi truccati, commissioni pilotate, “santini” e “mafie” accademiche e dimostrato scientificamente, in uno studio statistico-matematico, che i professori universitari in materia di concorsi imbrogliano.

Scardina sceglie, della sua cospicua produzione scientifica, le ultime dieci pubblicazioni, ritenendo congruo un giudizio della Commissione eventualmente basato anche sul valore degli elementi innovativi dei lavori più recenti rispetto ai più datati. E le presenta, insieme all’elenco complessivo della sua produzione scientifica: 32 pubblicazioni (più 9 “posters”, comunicazioni ai convegni, che però, in quanto tali, passano in secondo piano: in tutto 41), in 25 dei quali figura come primo autore (in una – la n. 29 dell’elenco – è l’unico).

Anche la Di Liberto, naturalmente, la vincitrice fino a prova contraria - come Scardina e come tutti gli altri candidati che hanno presentato domanda (in tutto sei, ma tre si perdono per strada e agli orali ne arriva la metà) - invia alla Commissione la sua produzione scientifica. Ligia alla clausola stabilita dal bando, presenta anche lei massimo 10 pubblicazioni (per la precisione ne presenta 9 più un “poster”, poi scartato dai commissari), ma, contrariamente a Scardina, non deve spremersi le meningi per il criterio di selezione da adottare per la scelta: le presenta tutte (leggasi tutte quelle che ha al momento del concorso: nove più la “spintarella” del poster.

Le prove scritte scorrono secondo copione.

Alla prova orale per Scardina c’è un colpo di scena. Prima di cominciare l’esame (quando si dice la tempestività), la Commissione lo informa che delle dieci pubblicazioni solo tre sono valide: tutte le altre – dicono - sono bozze di stampa o articoli accettati per la successiva pubblicazione, compresa quella
nell’elenco del candidato al posto 22 - presente anche su PubMed, il sito che raccoglie notizia di tutte le pubblicazioni scientifiche a stampa dell’ambito medico, con tanto di abstract, annotazioni delle pagine occupate dagli articoli all'interno dei volumi, anni di pubblicazione e ammennicoli vari di carattere bibliografico che dimostrano - a chi ha occhi per leggere e cervello per pensare - l'esistenza, senza dubbio alcuno, del formato cartaceo tradizionale.

Ben altro trattamento per la candidata-vincitrice-ex-vincitrice Di Liberto, che si vede convalidate nove pubblicazioni su dieci (tutte, dunque), nonostante lo stesso bando stabilisse che i lavori redatti a più mani (anche quelli scritti coi propri Prof che poi - per una strana e fortunata coincidenza - si ritrovano presidenti nelle Commissioni dei propri concorsi, n.d.r.) "possono essere considerati come titoli utili solo ove sia possibile scindere ed individuare l’apporto dei singoli autori…”.

Scardina perde (secondo copione?) perché, come si legge sulla relazione finale della Commissione, “l’esiguità dei lavori scientifici prodotti non consente di definire appieno la personalità scientifica del Candidato…”. (Ma il candidato, non ne aveva prodotte dieci, di pubblicazioni? E non aveva prodotto anche un elenco di trentadue pubblicazioni per permettere, come dice pure il bando, un’ “adeguata valutazione”? E trentadue pubblicazioni non avrebbero tranquillamente potuto “definire appieno la personalità scientifica” del loro autore? Non sarebbe stato più realistico allora, da parte della Commissione, scrivere: “l’esiguità dei lavori scientifici ottenuta dopo l’abbattimento drastico che noi abbiamo effettuato – tre pubblicazioni validate su dieci presentate - non consente di definire appieno la personalità scientifica del Candidato, considerato che abbiamo deciso unanimemente di ignorare tutto il resto della sua produzione”?).


             

                                                                             segue alla pagina successiva 


argomenti correlati:



Torna al sommario..........



Hai un argomento da proporre?  Entra nel forum di Ateneo palermitano e avvia il dibattito con gli altri navigatori
.............................. entra



Oppure scrivi una e-mail
al Direttore
............................. scrivi

© Ateneo palermitano - tutti i diritti riservati