diretto da Francesca Patanè

luglio-agosto 2007 numero 67/68

Labili confini

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di Francesca Patanè

Caro Marcello Romano,

nella notte di venerdì 15 giugno, all’una, diciassette minuti e cinquantuno secondi, sulla mia casella di posta ufficiale di questo giornale è arrivata un’email.
Indirizzo del mittente: Sedop, una di quelle sigle sibilline oggetto di un mio editoriale, qualche anno fa.

Lascia che spieghi.
Sedop – per chi non conosce il linguaggio di Babele – significa “Settore Documentazione, Pubblicazioni e Archivio Storico” dell’Università di Palermo (ma non sarebbe stato più corretto, per par condicio, chiamarlo Sedopas? Perché non apri una petizione, sull’argomento?).
Sedop è il settore di cui tu, ormai da anni, sei funzionario responsabile.
E infatti l’e-mail era tua.

Non mi piace derogare ai miei principi, che mi vietano di pubblicare come molti fanno, senza preventiva autorizzazione, le e-mail che ricevo: non pubblico pertanto nemmeno la tua. Però ti rispondo, da qui, ora, e coram populo, come si dice.

Intanto grazie dei complimenti per questo giornale, che mi rendono felice, almeno per due motivi:

1) perché mi riconosci il merito di una “piacevole fatica” che dura ormai da oltre sette ininterrotti anni (le attestazioni di stima fanno sempre piacere, specie quando provengono da un collega di vecchia data quale tu sei)

2) perché, soprattutto, me lo riconosci non solo e non tanto nella tua veste “privata”, ma nel ruolo pubblico dell’ Istituzione che tu rappresenti: se così non fosse stato, infatti, non mi avresti scritto dall’indirizzo ufficiale dell’Università di Palermo.

Ciò vuol dire che parli non solo a tuo nome, ma anche a nome dell’Ateneo, e questo indipendentemente dal fatto di avere anticipato o meno la tua volontà di contattarmi a rettore e direttore amministrativo, o di avere aderito a una loro richiesta, o di averne con loro precedentemente definito termini e contenuti.

Comprendi dunque quanto questo riconoscimento sia significativo per me, oltre che gratificante, specie alla luce dei noti fatti dello scorso anno, quando l’Ateneo si imbarcò in una incredibile storia di censura nei miei riguardi, che certamente non giovò alla sua immagine né a quella dei suoi due docenti che esso, irragionevolmente schierandosi, tentò inutilmente di proteggere.
Ciò vuol dire che l’Università non solo si è ricreduta nei miei confronti – ma questo l’aveva già a suo tempo dimostrato non applicando mai la pur ridimensionata “pena” che mi aveva inflitto: due giorni di sospensione dal servizio e dallo stipendio contro il licenziamento in tronco incredibilmente deciso prima di procedere all’audizione, e poi altrettanto incredibilmente rinnegato! – ma è anche intellettualmente aperta a riconoscere l’utilità di questo giornale, che fa informazione corretta sempre e comunque, anche se qualche volta pure scomoda.
E questo, se fosse dimostrato, farebbe onore all’Università di Palermo (e al livello intellettuale dei suoi Vertici istituzionali e di tutto il suo Apparato).

E ora vengo alle tue richieste: due, una esplicita e l’altra, implicita sì, ma motivo evidente della richiesta esplicita.

E’ la esplicita, in particolare, che mi compiace. “Possiamo intrecciare un dialogo per pubblicare le nostre e le vostre pagine web?”, mi chiedi.

Dunque l’Università di Palermo, per tramite di un suo alto funzionario, chiede a me, la tanto vituperata, piccola e fastidiosa giornalista che parla troppo e che non sa stare al posto giusto (sul comò), si è ricreduta al punto, non solo di complimentarsi per il mio lavoro, ma anche di chiedermi uno scambio di link?!
E come potrebbe non compiacermi una richiesta del genere? Al settimo cielo mi ha portata, altro che!

Ma confesso di esserci rimasta poco, tra le nuvolette dai colori pastello, giusto il tempo di crogiolarmi qualche minuto in questa rinnovata veste di professionista finalmente riconosciuta “anche” dall’Ateneo palermitano.

Poi sono tornata giù, nella realtà grigia di tutti i giorni, e ho dovuto fare i conti ancora una volta con le solite storie (se vai al secondo articolo di questo numero capirai).
Storie che accomunano tutta l’Accademia italiana, per carità! Nessuno vuol dare all’Università di Palermo un’esclusiva così deleteria per la sua immagine istituzionale.

Però i fatti sono fatti. E non si possono ignorare, specie quando si fa il mio mestiere.
E i fatti, nel caso dell’articolo numero due di questo giornale, almeno fino a questo momento, non stanno dando ragione all’Università di Palermo, costretta dal Tar ad annullare tutti gli atti prodotti nell’ennesimo concorso per ricercatore pervenuto agli onori (onori?) della cronaca nazionale.

Ne ho scritto, naturalmente, perché oltre che a rientrare nei miei compiti professionali, rientra, il caso in questione, tra gli scopi di questo giornale.

Pensi che se avessi accettato la tua (vostra) proposta - che infatti, perdonami, ma non accetto - non ne avrei parlato? Sbagli, se lo pensi, perché io ne avrei parlato: sono una cittadina libera di un Paese libero, e tale voglio restare.

Ma sarebbe stato alquanto incoerente, da parte mia, da un lato registrare un caso di malauniversità dell’Ateneo di Palermo (indipendentemente da come finirà, lo rimane comunque, perché qualsiasi “intoppo” nell’iter organizzativo-gestionale è “malauniversità” perché nuoce all’intera struttura); dall’altro, con quello stesso Ateneo (con la sua home page o direttamente con la pagina del tuo Settore, è lo stesso) stringermi in un “abbraccio virtuale” – perché è così che io intendo lo scambio di link – un abbraccio che significa condivisione: di idee, di principi, di scopi e di comportamenti. Una condivisione che purtroppo non c’è.
Dunque ringrazio e declino formalmente e ufficialmente l’invito.

E passo ora alla tua seconda richiesta, quella di tipo deduttivo, per chi ha un poco di logica, e che ti sta molto a cuore… come d’altra parte è giusto che sia per un dipendente pubblico, “storico” per la struttura, innamorato del proprio lavoro come tu sei.

Mi scrivi della recente pubblicazione – a tua cura, come le altre precedenti da molti anni a questa parte - della nuova edizione dell’Annuario Accademico dell’Università di Palermo.
Legittimo, da parte tua (vostra), è il desiderio di pubblicizzarlo, così come incredibile è - considerate le battaglie che ho dovuto combattere per affermare, davanti a un Ateneo fermo nelle sue indifendibili posizioni, la legalità della mia testata – la tua (vostra) idea di poterlo fare proprio attraverso un link al mio giornale.

L’Annuario Accademico, imposto dalla legge già negli anni Venti (R.D. 6 aprile 1924 n. 674 – Approvazione del Regolamento generale universitario), è opera di fondamentale importanza, indispensabile per ogni Istituzione, che ha il dovere di affidare alla storia, perché altri in futuro se ne possano giovare, tutta la vita amministrativa e organizzativa di ogni sua struttura.
D’accordo che un nostro scambio di link avrebbe contribuito ad una ulteriore e anche molto significativa pubblicizzazione del tuo nuovo Annuario (ma anche così lo sto già facendo).

Tuttavia… c’è un problema, al di là della mancanza di link che di fatto rende impossibile tale “operazione mediatica”, e stavolta è un problema personale, che sconfina però – e questo lo rende particolarmente grave – nel “pubblico”: l’inattendibilità di precedenti edizioni del tuo Annuario per ciò che riguarda la mia figura di dipendente dell’Università di Palermo (non so di altri casi, ma, se sei interessato, posso controllare).

Provo a rammentarti, confortata dalle fonti: i volumi a stampa e la loro versione elettronica, che anche i lettori, se vorranno, potranno… spulciare (da unipa.it, alla pagina web del “Settore Documentazione, Pubblicazioni e Archivio Storico” dell’Università di Palermo).

I tuoi Annuari, più volte, con una recidività che ha dell’incredibile, hanno clamorosamente “toppato”, sia nell’attribuirmi sedi di servizio, sia – fatto, oltre che grave e inaccettabile, anche rilevante dal punto di vista legale – nel non riconoscermi incarichi ufficiali che nel tempo mi sono stati formalmente assegnati.

Qualche esempio? Ti accontento subito.

Annuario Accademico 1986/1994.
In quegli anni, fino all’ottobre del ’91, ho prestato servizio alla Biblioteca centrale della Facoltà di Lettere, poi sono andata all’Università di Catania, per aver vinto un concorso di livello superiore (i livelli superiori si raggiungono anche coi concorsi pubblici…) e, dopo una permanenza in questa città di oltre un anno (fino a novembre del ’92), sono tornata a Palermo, a mettere su dal nulla – questo l’impegnativo incarico che mi è stato assegnato e per il quale più volte sono stata convocata – la Biblioteca centrale della Facoltà di Scienze politiche.

Ora, un Annuario che si rispetti, prima di tutto – da qui il nome - dovrebbe essere pubblicato annualmente: solo così si è in grado di registrare correttamente i diversi "movimenti evolutivi” che costituiscono la storia professionale di un normale dipendente pubblico.
Se così non è, si deve comunque essere in grado di annotare, con scrupolo tale da rasentare la pedanteria, ogni variazione. O, in subordine, nell’evidente difficoltà di recuperare il pregresso e mettendo in pratica quanto scritto anche dal rettore dell’epoca proprio sull’edizione ’86/’94, si deve comunque procedere, dell’Ateneo, a “raccogliere… le notizie più significative…”.

E tu, che hai fatto?
Mi hai cancellata dall’elenco generale dei bibliotecari di Lettere, come se dall’ ’86 al ’92 non vi fossi mai stata; mi hai inserita alla Biblioteca centrale di Scienze politiche, come se vi fossi sempre stata, dall’86 al ’94 (ovvero in tutto il periodo preso in esame da questo “lungo” Annuario); e hai aggiunto un microscopico “codicillo” nell’elenco generale di tutto il personale dell’Ateneo (pag. 435 della copia cartacea: chissà per quale misteriosa ragione, le pagine in pdf sul sito Internet non coincidono perfettamente con la progressione originale di quelle della versione a stampa).
In questa lillipuziana annotazione informi i lettori di un mio “trasferimento ad altra Università, dalla Biblioteca di Lettere e Filosofia”: quale “altra Università” non è dato sapere, né si sa da dove sarei stata “trasferita”, visto che - secondo il tuo Annuario - nell’elenco dei bibliotecari di Lettere, come ho già detto, non appaio; e neppure si sa per quale strano miracolo io mi sia potuta trovata a Scienze politiche di Palermo senza aver mai fatto ritorno da alcuna “altra Università” (sempre a voler dar credito al tuo Annuario che non ha registrato, neppure con altro lillipuziano codicillo, il mio rientro a Palermo).

Che pasticcio, Marcello! Eppure mi sembrava così lineare, fino a poco prima di leggere le tue pubblicazioni, la mia carriera professionale!… (e con l’Annuario Accademico dell’Università di Catania come l’hai messa? Hai sollevato il conflitto di appartenenza o hai raccontato del mio dono dell’ubiquità?).

Comprendo che tu possa non ritenere i miei trasferimenti – come sollecitato dal rettore pro tempore - tra le “notizie più significative” dell’Ateneo, ma un Annuario (vero, non approssimativo) non dovrebbe entrare in questo merito se non vuole essere classificato – e parlo al mio collega bibliotecario in questo momento – tra le opere di fantasia.

Altro esempio. Annuario Accademico 1996/1997.
In quegli anni ero allo Steri - da sola, con pochi fondi e senza grande collaborazione da parte di molti dei nostri colleghi (l’invidia è una brutta bestia) - a realizzare “Ateneo Palermitano”, organo di informazione ufficiale dell’Università di Palermo.

E tu, che hai fatto?
Non solo hai ignorato l’esistenza mia e della redazione, ma hai depennato il mio nome da qualsiasi struttura dell’Università di Palermo! (vedi Indice generale alfabetico di tutto il Personale).

Eppure sapevi che c’ero e che ero lì, in redazione allo Steri, almeno per quattro ragioni:

1) Sulle due precedenti edizioni dell’Annuario (’94/’95 e ’95/’96) alla redazione del giornale mi avevi inserita (che cosa è intervenuto, dopo, che ti ha indotto a cancellarmi?)

2) Proprio tu sei stato uno dei miei più assidui collaboratori in tutti quegli anni (e di questo colgo l’occasione per ringraziarti)

3) Abbiamo condiviso con qualche colazione fugace le nostre solitarie pause-pranzo

4) Il tuo ufficio era a un soffio dalla mia redazione, allo Steri…


Ancora. Annuario Accademico 1997/1998.
Quell’anno ero al Laboratorio di Giornalismo della Facoltà di Scienze della Formazione - dove ero stata spostata non in qualità di bibliotecaria, ma in quanto giornalista - e sempre per occuparmi di “Ateneo Palermitano”.

E tu, che hai fatto?
Hai completamente ignorato il Laboratorio e il mio incarico e mi hai collocata agli Uffici di Presidenza (mi spiegherai, prima o poi, che ci faceva, se non “l’imboscata”, una bibliotecaria agli Uffici di Presidenza…).

Ma il culmine l’hai raggiunto poco dopo…

Annuario Accademico 1998/1999 – 1999/2000.
Tornata alla Facoltà di Scienze politiche (le “traversie” di “Ateneo Palermitano” Organo di informazione dell’Università di Palermo sono note e io stessa più volte ne ho parlato da queste pagine), sono stata immediatamente nominata, a seguito di delibera del Consiglio di Facoltà e con decreto della Dirigenza della Divisione del Personale dell'Amministrazione dell'Ateneo, direttore della Biblioteca centrale: unico caso dell’epoca, quello, in cui è stato realmente applicato l’art. 7 del Regolamento delle Biblioteche di Facoltà dell’Università di Palermo (approvato dal Senato accademico nella seduta del 31 marzo 1983), che obbligava, prima della designazione dei direttori delle biblioteche centrali, a sentire il parere del preside (che nel mio caso ha avuto anche il consenso del Consiglio di Facoltà).

E tu? Che hai fatto tu?
Hai scritto e pubblicato (pag. 192) che direttore della Biblioteca centrale della Facoltà di Scienze politiche era la mia dipendente Maria Di Caro, la quale – preciso per una corretta e più compiuta informazione – non solo non era direttore quando in Facoltà c’ero io, ma non lo è stata nemmeno dopo, quando io non c’ero più, e ciò dimostra una volta di più che l’affidamento di incarichi del genere non è motivato da automatismi burocratici o da diktat sindacali. (L’attuale edizione dell’Annuario la dà di nuovo direttore, ma, visti i precedenti, consentimi di dubitare, in assenza di verifica documentale).

Una svista? Concedimi almeno il beneficio del dubbio, considerato quello che tu stesso hai scritto (anzi, non scritto) sulla successiva edizione…

Annuario Accademico 2000/2001.
Ero sempre direttore alla Facoltà di Scienze politiche.

E tu che hai fatto sulla nuova edizione del tuo Annuario?
Hai eliminato la “svista” dell’attribuzione della direzione alla mia dipendente Di Caro (ridimensionandole però, correttamente, il livello: da 8° a 7°), ma hai mancato di aggiungere al mio nominativo la mia legittima carica, come chiunque avrebbe fatto in fase di sincera rettifica.
Così, a dar credito a quell’Annuario, la Biblioteca centrale della Facoltà di Scienze politiche, tra tutte le biblioteche centrali esistenti allora nell’Ateneo, era l’unica a non avere un direttore, chissà poi perché (è questa l’informazione scorretta che tu hai affidato alla storia).

Mi fermo qui.

Non voglio dubitare della tua buonafede, ma non posso non sottolineare che tu non abbia sentito il dovere morale (e professionale) di fare - intorno al mio nome e pubblicamente, sulle nuove edizioni che nel tempo si sono succedute - alcuna rettifica (ne prenderai atto per la prossima edizione?).

Così come non posso evitare di precisare che la pubblicazione più importante di un Ateneo debba basarsi non sui “si dice” che possono arrivare da ogni parte e per qualsiasi ragione (occulta o manifesta), ma solo, esclusivamente sulla documentazione ufficiale: per poter “fornire un’immagine coerente dell’Università nelle sue molteplici articolazioni”, come ben scrive il rettore Silvestri sull’edizione del 2000/2001.

Per garantire la correttezza (e l’inattaccabilità) di un progetto così impegnativo com’è quello dell’Annuario Accademico di un Ateneo, occorre “libertà di pensiero”, prima di tutto.

Caro Marcello, se al tuo posto ci fossi io, cercherei di convincerti della mia malafede: meglio Alexis di Dynasty, che Homer dei Simpson (ma la mente umana è così complessa che è difficile, qualche volta, stabilire certi confini).

Lascio a te la libertà di farmi credere quello che vuoi.

Francesca

P.S.: Complimenti per aver dato alle stampe la nuova edizione dell’Annuario




 


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