settembre-ottobre numero 90/91

attualità
La privatizzazione dell’Università italiana passa anche da qui
 
Il parere del professore “italo-americano” sulle Scuole Superiori per Mediatori Linguistici, ex Scuole per Interpreti e Traduttori

di Quirino Paris

Nell'articolo "Il fornaio-direttore generale dell’Università italiana" pubblicato lo scorso aprile e nell'articolo "Come funghi" di giugno Ateneo Palermitano ha dato conto della privatizzazione massiccia dell’Università italiana nel delicato settore della sanità pubblica che corrisponde alla specializzazione in Psicoterapia. Tutte le 340 sedi delle scuole esistenti sul territorio sono di tipo privato e sono state riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) soltanto negli ultimi 16 anni con procedure che lasciano dubitare della qualità di una buona parte di esse se, almeno una quarantina, sono state de-autorizzate in breve tempo dallo stesso ufficio del Miur che le aveva riconosciute poco prima.

Ma la privatizzazione strisciante dell’Università italiana non si ferma qui. Essa continua con le Scuole Superiori per Mediatori Linguistici. Anche in questo secondo capitolo si intravedono le crepe di una burocrazia senza controlli. Infatti, ci sono voluti sedici anni per l’emanazione del regolamento di una legge di due soli articoli, emanata nel 1986, che stabiliva il riordino giuridico delle Scuole Superiori per Interpreti e Traduttori. L’aspetto più caratterizzante di tale regolamento è l’esplicita affermazione – che non si trova nei documenti legislativi – secondo la quale i “titoli di studio, conseguibili al termine di corsi di studi superiori di durata triennale, (sono) equipollenti a tutti gli effetti ai diplomi di laurea rilasciati dalle università al termine dei corsi afferenti alla classe delle ‘Lauree universitarie in Scienze della Mediazione Linguistica’ (art. 1, comma 2).” Cioè, con un semplice regolamento è cambiato il nome delle scuole che, da scuole per interpreti e traduttori, sono diventate Scuole Superiori per Mediatori Linguistici equiparate a Facoltà universitarie. E ai loro titoli di studio si è concessa l’equipollenza alla laurea. Il che comporta l’inclusione di corsi di letteratura delle lingue proposte dall’offerta formativa e altri corsi di completamento della formazione universitaria.

E i docenti? Il regolamento del 2002 dice poco o nulla riguardo a questo aspetto cruciale. L’articolo 2, comma 1, stabilisce che l’istanza di riconoscimento presentata dalla scuola deve documentare “i requisiti di qualificazione didattica e di adeguatezza delle dotazioni di personale”. La definizione di che cosa siano tali requisiti è lasciata, presumibilmente, alla Commissione tecnico-consultiva prevista dall’articolo 3. Ma già il nome di “Commissione tecnico-consultiva” fa nascere il sospetto che la burocrazia del Miur abbia voluto tenersi le mani libere di accettare o non accettare le relazioni della Commissione. Mentre i siti Internet delle varie scuole non riportano nemmeno il nome dei docenti, senza parlare, dunque, della loro qualificazione professionale. E quattro scuole non dispongono nemmeno di un sito internet.

Stando ad un elenco del Miur datato 31 marzo 2004, le Scuole Superiori per Mediatori Linguistici sarebbero 24 (con 29 sedi), inclusa la scuola di Afragola (NA) riconosciuta con Decreto Direttoriale del 21 gennaio 2009 firmato dal solito Antonello Masia. Ma, allora, come mai l’elenco è datato al marzo 2004? Misteri di una burocrazia solerte, attenta e puntuale.

A proposito di Antonello Masia, – il Direttore Generale (oppure Capo del Servizio, oppure, da pochi mesi, Capo del Dipartimento, non si sa bene) e firmatario dei Decreti di conferma e di riconoscimento delle scuole – si trova ad essere membro del Consiglio di Amministrazione della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici Carlo Bo con sede centrale a Milano e sedi periferiche a Bari, Bologna, Firenze e Roma. Tale partecipazione al Consiglio di Amministrazione è in aperto contrasto – almeno nello spirito – al regolamento di cui sopra che stabilisce (art. 3): “3. Ai lavori della Commissione partecipa, con voto consultivo, il dirigente del competente Ufficio del servizio, responsabile del procedimento”. E subito dopo, “8. L’incarico di membro della Commissione è incompatibile con quello di componente di organi di direzione, gestione, consultivi, di controllo e didattici dei soggetti gestori delle scuole che abbiano prodotto istanza ai sensi dell’articolo 2. I membri della Commissione stessa non possono avere comunque cointeressenze nelle scuole, né avere presso incarichi di insegnamento in atto”. Quindi, Antonello Masia ha partecipato ai lavori della Commissione per la conferma della Scuola Carlo Bo e ha espresso il suo voto “consultivo” (in una Commissione consultiva…) e ha firmato il Decreto di conferma. Un ovvio conflitto di interesse, in un Paese dove il conflitto di interesse serve solo come materia di barzellette. Ai margini del problema, è curioso notare come il presidente dello stesso Consiglio di Amministrazione sia il noto poliglotta (almeno di latino e greco antico) senatore Giulio Andreotti, tanto per garantire alla scuola la copertura politica.

La Commissione tecnico-consultiva, composta da nove membri più il capo del servizio Miur, deve svolgere un arduo lavoro di accertamento e verifica per l’accreditamento delle scuole, ma il suo lavoro è solo di tipo “consultivo”. È’ sufficiente tale lavoro di istruzione della domanda fatta dalla scuola per garantire un livello adeguato e continuato di qualità? In più, le relazioni della Commissione non sono rese pubbliche, violando così i minimi criteri di transparenza della Pubblica Amministrazione.

La privatizzazione in atto dell’Università italiana, dalla preparazione degli psicoterapeuti a quella dei mediatori linguistici, stranamente non ha interessato coloro che – professori, studenti, sindacati – si agitano in maniera ideologica contro la privatizzazione dell’Università. Forse non si sono accorti di quello che sta succedendo e, nel frattempo, il Miur fa e disfa a suo piacimento le maglie degli studi e degli ordinamenti accademici.

È arrivata l’ora di disfare il Miur?


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