luglio-agosto 2006 numero 55/56

attualità
"Ateneo Palermitano", una voce pubblica per il pubblico
Un punto di riferimento per i temi di malauniversità: così il giornale
per i nostri lettori

di  Francesca Patanè

Il caso in questi ultimi mesi (ma non solo quello...) ha fatto sì che "Ateneo Palermitano" involontariamente subisse una sorta di mutazione: da giornale esclusivamente di informazione universitaria e di cronaca specialistica, a giornale anche di denuncia: brogli, connivenze, concorsi truccati, commissioni addomesticate, atteggiamenti mafiosi, cupole accademiche, ritorsioni, cabine di regia, vendette personali e pubbliche punizioni, in una parola malauniversità.

Tutto è cominciato da un banale (ma dirompente) articolo di cronaca su un'indagine aperta nei confronti di due docenti dell'Università di Palermo, pubblicato a gennaio di quest'anno,  che ha sconvolto gli animi dei protagonisti, prima di tutto (da chi è partito l'input a punire la giornalista e dipendente dell'Ateneo, colpevole di aver tirato fuori l'argomento su un giornale che per giunta si chiama "Ateneo Palermitano"? Non lo sappiamo e dunque non lo scriviamo, ma il dubbio è legittimo e da più parti manifestato).

Poi è accaduto tutto quello che già sapete: il processo sommario alla responsabile di quell'articolo messo in piedi illegittimamente e abusivamente dai vertici amministrativi dell'Ateneo; la punizione massima - il licenziamento - non effettivamente concretizzatasi per codardia da parte del Tribunale inquisitorio, non certo per ravvedimento, e dunque moralmente comunque inflitta; e poi - quasi come un prosieguo naturale della storia - l'allargamento dell'interesse del giornale al caso Paris, il professore che dalla California ha fatto partire la denuncia al mondo dell'economia agraria accademica italiana e che a sua volta ha dovuto affrontare, e sta ancora affrontando, la catena di Sant'Antonio delle denunce e delle querele per quello che ha "osato" fare; e ancora, l'ingresso nelle nostre pagine, fortemente voluto e accuratamente programmato, anche di altri fatti, altre storie private - il caso Anania, il caso Eboli, lo stesso caso Oddo - che però di privato hanno solo il punto di partenza, perché in realtà costituiscono esempi esemplari (scusate il bisticcio) di ciò che qualche volta (troppo spesso) è l'Università pubblica in Italia o di ciò che ancora è purtroppo molto lontana dall'essere, a seconda del punto di vista in cui (dualisticamente!) guardate il problema.

Siamo molto contenti di come stanno andando le cose: per il giornale è un'attestazione di qualità (mettiamo da parte le modestie idiote: abbiamo dovuto sgobbare sei anni per convincervi della nostra professionalità, lasciate adesso che ce lo godiamo tutto, questo successo!), e anche una conferma che il messaggio che abbiamo lanciato col primo editoriale del 2001 - la nostra "mission", come si dice - è stato perfettamente recepito.
Avevamo scritto, in quell'occasione, che avremmo fatto informazione, ma soprattutto controinformazione: "perché la verità è sempre una. E non ha colori politici, né simpatie sindacali, né inciuci lobbistici".
L'avevamo scritto allora e lo confermiamo a maggior ragione adesso che questo giornale è diventato - non per nostra scelta, ma per volontà dei lettori e di tutti quelli che ci hanno scritto e ci scrivono - un punto di riferimento concreto, una voce "pubblica per il pubblico", una cassa di risonanza per i temi di malauniversità.
E come punto di riferimento, infatti, è stato inteso da David Aliaga, che sul numero scorso ci ha scritto una nota di solidarietà in riferimento al caso-Patanè, ma nello stesso tempo ha sentito l'esigenza di raccontarci la sua storia, privata sì, ma riconducibile a un sistema universitario italiano sempre più criticato e criticabile.
Non siamo entrati nel merito del caso-Aliaga, ma abbiamo raccolto quella voce di denuncia scegliendo di pubblicare la lettera aperta inviata al rettore dell'Università della Calabria e che Aliaga ha ritenuto opportuno farci pervenire.
Nessuna controrisposta, che noi saremmo stati ben felici di pubblicare, abbiamo ricevuto dalla Calabria.

Su questo numero, allo stesso modo e con le stesse finalità, stiamo dando voce a Maurizio Oddo (del suo caso abbiamo fatto cenno lo scorso maggio),: che sulla lettera di ringraziamento che ci ha inviato per esserci occupati di lui, ha ritenuto opportuno raccontarci altri particolari e aggiornarci sul prosieguo della sua "avventura" all'Università di Palermo.

Altri ci hanno scritto (persino di ambiti che con l'Università non c'entrano niente, ma che con essa condividono gli stessi limiti e le stesse opacità di comportamento) narrandoci le loro storie o semplicemente manifestandoci, anche solo attraverso un messaggio sui nostri forum, le loro frustrazioni. Firmando gli interventi, sempre; ma chiedendoci molto spesso di garantire loro l'anonimato. (Significativa, questa continua necessità di anonimato, segno inconfutabile dell'aria intimidatoria - e persecutoria - che si respira negli ambienti accademici italiani).

Tante le lettere che abbiamo ricevuto da convincerci che le storie di malauniversità in Italia sono come le ciliege: una tira l'altra e non ci si ferma più.
Il temporale di marzo (quello che all'improvviso ha coinvolto il direttore di questo giornale) è diventato un uragano di storie, una tempesta di rabbia per troppo tempo repressa, un oceano di delusioni sempre più livide, un ciclone di astio e risentimento, legittimi entrambi - questi ultimi - non discutiamo, "umani" e impossibili da arginare, almeno nella propria sfera privata.
Non però in quella pubblica.

"Ateneo Palermitano" - l'abbiamo detto e ribadito - è un giornale libero, cioè un giornale che non si lascia condizionare, né da una parte né dall'altra; un giornale aperto a chi ha qualcosa da dire utile alla collettività, o su cui rispondere e controbattere. Nel nome di quella trasparenza intellettuale sulla quale tanto spesso ritorniamo e che fa la differenza tra un giornale di gossip (senza nulla togliere a un giornale che fa gossip) e un giornale fondato prima di tutto sulla credibilità e sulla serietà d'intenti.

Per questo motivo una cosa vogliamo sia chiara.
Continueremo sulla strada intrapresa, se questo può essere un buon contributo alla "causa", il rinnovamento dell'Università italiana: una causa ambiziosa per la quale anche noi, in prima persona e in prima linea, abbiamo scelto di combattere; continueremo ad ospitare la voce delle "parti" e ad auspicare di poter fare la stessa cosa con quella delle "controparti"; continueremo a pubblicare storie e istanze private, ma di interesse pubblico e continueremo a "provarle", documenti alla mano, com'è giusto che sia quando si fa cronaca seria e non gridata: perché è nostro primo dovere informare e perché vogliamo contribuire, ripetiamo, alla soluzione di problemi che sono di tutti, in quanto manifestazioni del disagio di un'intera categoria, di un' Istituzione.
Perciò ci batteremo ancora per una "giustizia giusta", ma non ci lasceremo strumentalizzare dalle piccole vendette private, dalle rivalse personali che non hanno altro scopo se non quello di fare, in un certo senso, "appattare" le carte: i "regolamenti di conti" riguardano gestioni e ambiti estranei a questo giornale.


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